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"Dic Musa quid agat Canius meus Rufus, an aemulator improbi iocos Faedri" (Marziale Libro III Epigr. 20 v.5)

Della vita di Fedro, conosciamo ben poco. Sappiamo, per certo, che non solo non fu apprezzato dai contemporanei ma addirittura ignorato; solo Marziale lo ricorda in uno dei suoi Epigrammi con queste parole non certo di elogio: Dimmi Musa cosa sta combinando il mio amico Canio Rufo, non credo certo stia imitando gli scherzi letterari di quel tristo di Fedro. Ebbe a soffrire accuse e persecuzioni rischiando addirittura, sotto Tiberio, di essere condannato essendosi ravvisate in alcune favole allusioni al malgoverno di Roma.



Le origini della "Favola" si perdono nella notte dei tempi e rappresentano, con i proverbi, il prodotto più genuino dell'esperienza e della saggezza umana. Possiamo quindi immaginare che, quelle ritenute più efficaci, divertenti e dalle quali più facilmente fosse possibile trarre un insegnamento morale, si siano diffuse per tutto il mondo allora conosciuto ad opera dei navigatori greci e fenici.

La prima favola scritta, di cui si ha memoria, risale al sec. XI a.C. ai tempi del profeta Samuele e del re Saul (Antico Testamento-Giudici-cap. IX vv. 8-15). Nei secoli successivi (IX-VII a.C.) ritroviamo esempi in Esiodo e in Archiloco fino ad arrivare al grande Esopo (sec. VI a.C. ) a cui Fedro, come scrive nel prologo al libro quarto, dice di essersi ispirato:

"Quare, Particulo, quoniam caperis fabulis, - quas Aesopias, non Aesopi, nomino, quia paucas ille ostendit, ego plures fero, usus vetusto genere, sed rebus novis, - quartum libellum, cum vacarit, perleges".
(=Pertanto, caro Particulone, poichè ti piacciono queste favole, - che definisco Esopiane e non di Esopo , in quanto lui ne ha raccontate poche mentre io ne offro molte di più, servendomi di un genere letterario antico ma adattandolo ad un materiale favolistico nuovo - a tempo perso leggi attentamente questo quarto libro).

Non è che i romani ignorassero questa forma letteraria. Il famoso "Apologo delle membra" tenuto da Menenio Agrippa nel 493 a.C. alla plebe ritiratasi sul Monte Sacro infatti ne è la riprova (Tito Livio, Ab Urbe condita , libro II, 32). Sempre nella letteratura latina non mancano altri esempi nei secoli successivi con Ennio, Plauto, Lucilio, Catullo e Domizio Marso per concludere, ai tempi di Augusto, con Orazio che inserì favole ed apologhi nelle "Satire" e nelle "Lettere".


Nella raccolta, oltre ai cinque libri classici, abbiamo riportato anche un'appendice di trentadue favole dette "fabulae novae" o "Appendix Perottina" compilata attorno alla metà del sec. XV da Niccolò Perotti arcivescovo di Manfredonia.

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Ultimo aggiornamento: 01.10.2015
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