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Fabularum Phaedri liber primus
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  Libro primo delle favole di Fedro
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Per quanto, storicamente parlando, non sia stato Esopo l'inventore della favola, risale a lui l'onore di averne fissato le forme e averla elevata a genere letterario. Pertanto, per l'eccellenza raggiunta da lui in questo genere letteraio, vengono definite "Esopiane" anche quelle scritte da altri.  
Prologus
Aesopus auctor quam materiam repperit,
hanc ego polivi versibus senariis.
Duplex libelli dos est: quod risum movet,
et quod prudenti vitam consilio monet.
Calumniari si quis autem voluerit,
quod arbores loquantur, non tantum ferae,
fictis iocari nos meminerit fabulis
.
Prologo
Io resi più bello in versi senari quel materiale che Esopo ha per primo inventato.
Doppio è il merito del libretto: muove al riso e con saggi consigli ammaestra a ben vivere.
Se qualcuno avrà voglia di muovere critiche per il fatto che gli alberi, e non soltanto gli animali parlano, si ricodi che io amo scherzare con racconti immaginari.
1 Nella società non mancano mai uomini malvagi che cercano un qualsiasi pretesto per sottomettere o aggredire i deboli.

Lupus et agnus
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant,
siti compulsi. Superior stabat lupus,
longeque inferior agnus. Tunc fauce improba
latro incitatus iurgii causam intulit;
Cur, inquit, turbulentam fecisti mihi
aquam bibenti?. Laniger contra timens:
"Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?
A te decurrit ad meos haustus liquor".
Repulsus ille veritatis viribus:
Ante hos sex menses male, ait, dixisti mihi.
Respondit agnus: Equidem natus non eram.
Pater hercle tuus ibi, ille inquit, male dixit mihi.
Atque ita correptum lacerat iniusta nece.
Haec propter illos scripta est homines fabula
qui fictis causis innocentes opprimunt.
Il lupo e l'agnello
Un lupo e un agnello, spinti dalla sete , andarono allo stesso ruscello. Il lupo stava più in alto ed assai più in giù l'agnello. Spinto da ingorda voracità quel ladrone cercò un pretesto per litigare; Perchè, chiese, intorbidi l'acqua a me che sto bevendo?. L'agnello a sua volta trpidante: "Come posso, di grazia, fare ciò di cui tu ti lamenti o lupo?.
L'acqua scorre da te alle mie labbra"
Quello (il lupo) contraddetto dalla forza dell'evidenza (disse): "Sei mesi fa hai sparlato di me".
Rispose l'agnello:"In verità non ero ancora nato".
"Per Ercole, allora, fu tuo padre" continuò il lupo "a sparlare di me" e così dicendo l'afferra e lo sbrana ingiustamente.
Questa favola è stata scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con accuse false.
2 E' preferibile accontentarsi di un governo accomodante (entro certi limiti) piuttosto che incorrere nella triste eventualità di dover subire i rigori di un regime dispotico.
Ricordo a questo proposito la simpatica poesia di Giuseppe Giusti dal titolo appunto "Il re travicello" che è possibile leggere al link "am arcord".

Rane regem petunt
Athenae cum florerent aequis legibus,
procax libertas civitatem miscuit,
frenumque solvit pristinum licentia.
Hic conspiratis factionum partibus
arcem tyrannus occupat Pisistratus.
Cum tristem servitutem flerent Attici,
(non quia crudelis ille, sed quoniam grave
omne insuetis onus), et coepissent queri,
Aesopus talem tum fabellam rettulit.
'Ranae, vagantes liberis paludibus,
clamore magno regem petiere a Iove,
qui dissolutos mores vi compesceret.
Pater deorum risit atque illis dedit
parvum tigillum, missum quod subito vadi
motu sonoque terruit pavidum genus.
Hoc mersum limo cum iaceret diutius,
forte una tacite profert e stagno caput,
et explorato rege cunctas evocat.
Illae timore posito certatim adnatant,
lignumque supra turba petulans insilit.
Quod cum inquinassent omni contumelia,
alium rogantes regem misere ad Iovem,
inutilis quoniam esset qui fuerat datus.
Tum misit illis hydrum, qui dente aspero
corripere coepit singulas. Frustra necem
fugitant inertes; vocem praecludit metus.
Furtim igitur dant Mercurio mandata ad Iovem,
adflictis ut succurrat. Tunc contra deus
"Quia noluistis vestrum ferre" inquit "bonum,
malum perferte". Vos quoque, o cives, ait,
hoc sustinete, maius ne veniat, malum.
Le rane chiedono a Giove un re
Allorchè Atene era fiorente per merito delle giuste leggi, la libertà esagerata mise sottosopra lo stato e l'anarchia sciolse i freni di un tempo.
In tali frangenti, essendosi i vari partiti politici coalizzati contro di lui, il tiranno Pisistrato occupa l'acropoli.
Deplorando gli Ateniesi la loro triste schiavitù non perchè egli fosse crudele ma perché ogni peso è gravoso per coloro che non vi sono abituati ed avendo iniziato a lamentarsi Esopo prese a narrare la seguente favola.
Le rane che vagavano liberamente per le paludi chiesero, con grandi grida, un re a Giove affinché con la sua autorità tenesse a freno i costumi corrotti.
Il padre degli dei rise e gli mandò un piccolo travicello che scagliato con violenza, a causa dell'improvviso movimento dell'acqua e (il rumore) del tonfo, spaventò le timide bestiole.
Dopo essere rimaste per parecchio tempo nascoste nel fango una di esse finalmente, senza fiatare tira fuori il capo dallo stagno e, dopo aver bene osservato il re, chiama tutte le altre. Quelle, dimenticata la paura, nuotano a gara e la folla petulante sale sopra il legno. Dopo averlo ricoperto con ogni possibile insulto inviarono a Giove ambasciatori perché chiedessero un re diverso ritenendo inutile quello inviato. Mandò loro, a questo punto, un serpente che con dente terribile cominciò ad azzannarle una dopo l'altra. Inutilmente le bestiole incapaci di difendersi tentano di sfuggire la morte, la paura toglie loro la voce. Di nascosto affidano a Mercurio una supplica a Giove affinché venga in aiuto a loro afflitte. A sua volta il dio rispose: "Poiché non avete voluto il vostro bene sopportate fino alla fine il vostro male". Pure voi cittadini , disse, sopportate il male presente prima che ve ne capiti uno peggiore.
3 Chi aspira per vanagloria ad allontanarsi da quelli del suo ceto per entrare a far parte di coloro che contano viene disprezzato da questi e schernito da quelli.  
Graculus superbus et pavo
Ne gloriari libeat alienis bonis,
suoque potius habitu vitam degere,
Aesopus nobis hoc exemplum prodidit.
Tumens inani graculus superbia
pinnas, pavoni quae deciderant, sustulit,
seque exornavit. Deinde, contemnens suos
se immiscuit pavonum formoso gregi.
Illi impudenti pinnas eripiunt avi,
fugantque rostris. Male mulcatus graculus
redire maerens coepit ad proprium genus,
a quo repulsus tristem sustinuit notam.
Tum quidam ex illis quos prius despexerat:
"Contentus nostris si fuisses sedibus
et quod natura dederat voluisses pati,
nec illam expertus esses contumeliam
nec hanc repulsam tua sentiret calamitas".
La cornacchia superba e il pavone
Esopo ci ha lasciato questo esempio affinché nessuno si compiaccia vantandosi di beni altrui, ma piuttosto si accontenti di vivere secondo il proprio stato.
Una cornacchia, gonfia di stolto orgoglio, raccolse le penne cadute a un pavone e se ne adornò. Quindi, disprezzando le sue compagne, si unì ad un bel branco di pavoni. Questi, però, strapparono le penne all’uccello sfrontato, e lo cacciarono a beccate. La cornacchia, malconcia, se ne tornò, lamentandosi, tra i propri simili, dai quali venne allontanata con grande disprezzo.
Allora uno fra quelli che prima aveva disprezzato disse: “Se ti fossi accontentata di stare con noi e se avessi accettato di buon grado ciò che la natura ti aveva dato, non avresti né subito quell' affronto né soffriresti ora per questo allontanamento”.
4 Questa favola illustra in modo splendido e chiaro il noto proverbio "chi troppo vuole nulla stringe".

Canis per fluvium carnem ferens
Amittit merito proprium qui alienum adpetit.
Canis, per flumen carnem dum ferret, natans
lympharum in speculo vidit simulacrum suum,
aliamque praedam ab altero ferri putans
eripere voluit; verum decepta aviditas
et quem tenebat ore dimisit cibum,
nec quem petebat potuit adeo adtingere.
Il cane deluso nella sua ingordigia
Perde giustamente i propri beni chi desidera i beni altrui.
Un cane stava attraversando a nuoto un fiume con un pezzo di carne in bocca, vide nello specchio delle acque la sua immagine e credendo fosse un altro cane volle strappargliela (di bocca); Però, ingannato dalla sua avidità, perdette anche il cibo che già aveva e non gli fu possibile ottenere quello che desiderava.
5 Non bisogna mai fare società con i più forti e i più furbi perchè il debole o l'ingenuo ne uscirà sempre con le ossa rotte.

Canis et capella, ovis et leo
Numquam est fidelis cum potente societas.
Testatur haec fabella propositum meum.
Vacca et capella et patiens ovis iniuriae
socii fuere cum leone in saltibus.
Hi cum cepissent cervum vasti corporis,
sic est locutus partibus factis leo:
"Ego primam tollo nominor quoniam leo;
secundam, quia sum fortis, tribuetis mihi;
tum, quia plus valeo, me sequetur tertia;
malo adficietur si quis quartam tetigerit'.
Sic totam praedam sola improbitas abstulit.
La vacca, la capretta, la pecora e il leone
La società con un potente non è mai sicura.
Questa favola conferma la mia tesi,
Una vacca, una capra e una pecora che sopporta facilmente le ingiustizie si misero in società con il leone nei boschi.
Dopo aver catturato un enorme cervo e fatte le parti il leone disse: "Prendo la prima parte perchè sono il leone; mi assegnerete anche la seconda perché sono forte; inoltre, visto che valgo più di voi, mi spetta anche la terza; avrà il fatto suo chi toccherà la quarta.
Così un solo malvagio portò via tutta la preda.
6 Essere vessati da un prepotente è certo una gran brutta cosa ma averne più di uno è cosa di gran lunga peggiore.

Ranae ad solem
Vicini furis celebres vidit nuptias
Aesopus, et continuo narrare incipit -
Uxorem quondam Sol cum vellet ducere,
clamorem ranae sustulere ad sidera.
Convicio permotus quaerit Iuppiter
causam querellae. Quaedam tum stagni incola
"Nunc" inquit "'omnes unus exurit lacus,
cogitque miseras arida sede emori.
Quidnam futurum est si crearit liberos?'
Le rane al sole
Esopo vide le splendide nozze di un ladro (suo) vicino (di casa) e subito comincia a raccontare.
Una volta volendo il Sole prendere moglie,
le rane alzarono delle forti grida grida verso il cielo. Stordito da quel putiferio Giove chiede
la causa di (quelle) lamentele. Rispose una abitante dello stagno: "Ora un sole secca tutti i laghi, e costringe noi misere a morire perchè la (nostra) dimora (è diventata) arida. Che avverrà mai se dovesse avere figli?"
7 Un bel volto senza cervello non vale nulla.  
Vulpis ad personam tragicam
Personam tragicam forte vulpes viderat;
quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat,
'O quanta species' inquit 'cerebrum non habet!' Hoc illis dictum est quibus honorem et gloriam
Fortuna tribuit, sensum communem abstulit.
La volpe e la maschera
Una volpe per caso aveva visto una maschera tragica; e dopo averla girata e rigirata un paio di volte "Gran bell'aspetto" disse "ma è vuota (non ha il cervello)".
Questo si dice di quelli a cui la dea Fortuna assegnò onore e gloria, ma privò di saggezza e di intelligenza.
8 Chi ha relazione di affari con i furfanti o i malvagi può solo aspettarsi dei tiri birboni.

Lupus et gruis
Qui pretium meriti ab improbis desiderat,
bis peccat: primum quoniam indignos adiuvat,
impune abire deinde quia iam non potest.
Os devoratum fauce cum haereret lupi,
magno dolore victus coepit singulos
inlicere pretio ut illud extraherent malum.
Tandem persuasa est iureiurando gruis,
gulae quae credens colli longitudinem
periculosam fecit medicinam lupo.
Pro quo cum pactum flagitaret praemium,
'Ingrata es' inquit 'ore quae nostro caput
incolume abstuleris et mercedem postules'.
Il lupo e la gru
Chi si attende una ricompensa per un servizio reso ai malvagi sbaglia due volte: prima perchè aiuta chi non lo merita e poi perché non può uscirne impunemente,
Essendosi conficcato un osso che aveva ingoiato nella gola del lupo, costretto per il grande dolore cominciò a promettere una ricompensa a tutti gli animali che incontrava se lo avessero liberato da quel malanno.
Alla fine la gru si lasciò persuadere dal solenne giuramento e, affidando alla mercè della gola (di lui) il (suo) lungo collo, fece al lupo la rischiosa operazione.
Reclamando poi con insistenza quanto pattuito:
"Sei un'ingrata" disse " poiché tu hai estratto la testa dalla mia bocca incolume e per di più osi chiedere una ricompensa.
9 Non bisogna farsi beffe degli infelici perchè non sempre si è certi di non cadere prima o poi nella stessa infelicità o, addirittra, in una peggiore

Passer ad leporem consiliator
Sibi non cavere et aliis consilium dare
stultum esse paucis ostendamus versibus. Oppressum ab aquila, fletus edentem graves,
leporem obiurgabat passer 'Ubi pernicitas
nota' inquit 'illa est? Quid ita cessarunt pedes?'
Dum loquitur, ipsum accipiter necopinum rapit
questuque vano clamitantem interficit.
Lepus semianimus 'Mortis en solacium:
qui modo securus nostra inridebas mala,
simili querella fata deploras tua'.
Il passero e la lepre
Con questa breve favola dimostriamo che è stolto non badare a sé e dare consiglio ad altri.
Un passero scherniva una lepre che, ghermita da un'aquila, mandava gravi lamenti, "Dove è" esclamò" quella tua ben nota velocità ?. Come mai ti si sono bloccate le zampe?"
Mentre parla, un avvoltoio afferra all'improvviso lo sprovveduto e, mentre manda alti e vani lamenti, lo uccide
La lepre mezzo morta (commenta) "Ecco (come va a finire) il consolatore di chi muore: tu che poco fa sicuro deridevi i miei mali senza temere per te ora con lamenti simili (ai miei) piangi la tua miserevole fine"
10 Nelle liti tra criminali chi è chiamato a decidere, se ha fiuto, sa già che la ragione non potrà mai trovarsi né dall'una né dall'altra parte.

Lupus et vulpis iudice simio
Quicumque turpi fraude semel innotuit,
etiam si verum dicit, amittit fidem.
Hoc adtestatur brevis Aesopi fabula.
Lupus arguebat vulpem furti crimine;
negabat illa se esse culpae proximam.
Tunc iudex inter illos sedit simius.
Uterque causam cum perorassent suam,
dixisse fertur simius sententiam:
'Tu non videris perdidisse quos petis;
te credo subripuisse quod pulchre negas".
Il lupo la volpe e la scimmia
Chiunque si è segnalato una volta per una clamorosa frode anche se dice il vero, perde il diritto di essere creduto. La breve favola di Esopo conferma appunto questo.
Il lupo accusava la volpe del delitto di furto ; lei negava di essere colpevole.
Allora sedette tra loro, come arbitro, la scimmia.
Dopo che ognuno ebbe perorato la propria causa, si racconta che la scimmia pronunciasse questa sentenza : " Non sembra che tu abbia perso ciò di cui muovi accusa; credo che tu abbia rubato ciò che neghi con tanta studiata ipocrisia".
   
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