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Fabularum Phaedri liber tertius
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  Libro terzo delle favole di Fedro
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Sotto il regno di Tiberio Fedrò pubblicò i due primi libri di favole ma, per allusioni al malgoverno di Roma, incontrò le ire di Seiano feroce ministro dell'imperatore. Sottoposto a processo venne condannato, dallo stesso Seiano (che come scrive il poeta contemporaneamente era accusatore, testimone e giudice), non si sa quale pena ma, cosa non facile per quei tempi, ebbe salva la vita.  
Prologus:Phaedrus ad Eutichum
Phaedri libellos legere si desideras,
Vaces oportet, Eutyche, a negotiis,
Ut liber animus sentiat vim carminis.
"Verum" inquis "tanti non est ingenium tuum,
Momentum ut horae pereat officiis meis".
Non ergo causa est manibus id tangi tuis,
Quod occupatis auribus non convenit.
Fortasse dices: "Aliquae venient feriae,
Quae me soluto pectore ad studium vocent".
Legesne, quaeso, potius viles nenias,
Impendas curam quam rei domesticae,
Reddas amicis tempora, uxori vaces,
Animum relaxes, otium des corpori,
Ut assuetam fortius praestes vicem?
Mutandum tibi propositum est et vitae genus,
Intrare si Musarum limen cogitas.
Ego, quem Pierio mater enixa est iugo,
In quo tonanti sancta Mnemosyne Iovi
Fecunda novies artium peperit chorum.
Quamvis in ipsa paene natus sim schola
Curamque habendi penitus corde eraserim
Et laude invicta vitam in hanc incubuerim,
Fastidiose tamen in coetum recipior.
Quid credis illi accidere, qui magnas opes
Exaggerare quaerit omni vigilia,
Docto labori dulce praeponens lucrum?
Sed iam quodcumque fuerit, ut dixit Sinon,
Ad regem cum Dardaniae perductus foret,
Librum exarabo tertium Aesopi stilo,
Honori et meritis dedicans illum tuis.
Quem si leges, laetabor; sin autem minus,
Habebunt certe quo se oblectent posteri.
Nunc fabularum cur sit inventum genus,
Brevi docebo. Servitus obnoxia,
Quia quae volebat non audebat dicere,
Affectus proprios in fabellas transtulit
Calumniamque fictis elusit iocis.
Ego porro illius semita feci viam,
Et cogitavi plura quam reliquerat,
In calamitatem deligens quaedam meam.
Quod si accusator alius Seiano foret,
Si testis alius, iudex alius denique,
Dignum faterer esse me tantis malis,
Nec his dolorem delenirem remediis.
Suspicione si quis errabit sua
Et rapiet ad se quod erit commune omnium,
Stulte nudabit animi conscientiam.
Huic excusatum me velim nihilo minus:
Neque enim notare singulos mens est mihi,
Verum ipsam vitam et mores hominum ostendere.
Rem me professum dicet fors aliquis gravem.
Si Phryx Aesopus potuit, Anacharsis Scytha
Aeternam famam condere ingenio suo:
Ego, litteratae qui sum propior Graeciae,
Cur somno inerti deseram patriae decus?
Threissa cum gens numeret auctores suos,
Linoque Apollo sit parens, Musa Orpheo,
qui saxa cantu movit et domuit feras
hebrique tenuit impetus dulci mora.
Ergo hinc abesto, livor, ne frustra gemas,
quoniam mihi sollemnis debetur gloria.
induxi te ad legendum; sincerum mihi
candore noto reddas iudicium peto.
Prologo:Fedro a Eutico
Se vuoi, caro Eutico, leggere i libretti di Fedro, occorre che tu sia libero da ogni impegno, il tuo spirito, sgombro da pensieri, potrà gustare la bellezza della poesia. "La tua bravura" dirai, "non è tale da sottrarre ai miei impegni anche solo un attimo". In tal caso che le tue mani tocchino quello che non è adatto a orecchie occupate in altro. Forse dici: "Verranno giorni di festa che mi invoglieranno, se libero da ogni preoccupazione, allo studio letterario". Allora, ti chiedo, leggerai insulse poesiole piuttosto che badare ai tuoi affari, o spendere il tuo tempo per gli amici, dedicarti a tua moglie, svagare l'animo, rilassare il corpo, per riprendere con maggior vigore i tuoi soliti impegni? Devi cambiare scopo e stile di vita se pensi di varcare la soglia del tempio delle Muse. Io, partorito da mia madre sulle giogaie del Pìero, là dove la santa Mnemosine, nove volte feconda, generò a Giove tonante la schiera delle dee delle arti. Nonostante io sia nato quasi nella loro stessa scuola e abbia completamente sradicato dal cuore ogni desiderio di possesso, e mi sia votato totalmente a questa arte per conseguire una lode che mai morrà, anche così, sono accolto a mala pena nella cerchia dei poeti. Cosa credi che possa succedere a chi cerca di ammassare, sempre vegliando, grandi ricchezze, anteponendo al lavoro letterario il dolce guadagno? Ma ormai, sarà quel che sarà, come disse Sinone, quando fu condotto dinanzi al re Priamo, scriverò un terzo libro alla maniera di Esopo e lo dedicherò a te in tuo onore e per i tuoi meriti. Se lo leggerai, ne sarò contento; diversamente i posteri, in ogni caso, avranno di che dilettarsi. Ora dirò in breve perché fu inventato il genere favolistico. Non osando lui schiavo (Esopo), soggetto al potere, esprimere quello che desiderava, trasferì i propri sentimenti in favolette e, con storielle piacevoli, evitò di essere incriminato.
Io, quel sentiero, l'ho poi fatto diventare una strada e ho ideato più storie di quante lui non ne abbia lasciate, anche se alcuni soggetti, che ho scelto, mi hanno condotto alla rovina.
Se l'accusatore fosse stato un altro e non Seiano, se il testimone fosse stato un altro (e non Seiano), e il giudice un altro ancora (e non Seiano), ammetterei di aver meritato tale disgrazia e non addolcirei il mio dolore con questi rimedi.
Se qualcuno. tratto in errore perla sua diffidenza, riterrà riferita a se stesso la favola che riguarda invece un modo di comportarsi generalizzato , da stolto mostrerà a tutti di avere la coda di paglia. Vorrei comunque scusarmi con lui: non ho infatti l'intenzione di censurare i singoli, ma di mostrare la vita com'è e come sono i comportamenti umani. Forse qualcuno dirà che ho promesso una cosa difficile. Se il frigio Esopo e lo scita Anacarsi riuscirono ad ottenere eterna gloria con il loro talento, io, che sono più vicino alla Grecia, cultrice delle lettere, perché dovrei trascurare di far onore alla mia patria restando in un sonno inerte? Anche il popolo della Tracia vanta i suoi poeti e Lino fu generato da Apollo, dalla Musa Orfeo, che col suo canto smosse le pietre, ammansì le fiere e frenò il corso impetuoso dell'Ebro con la dolcezza del canto. Perciò via di qua, invidia, perché tu non debba gemere invano! Un giorno mi sarà conferita la gloria che si deve ai poeti. Ti ho indotto a leggere; e, conoscendo la tua ben nota sincerità, ti chiedo di esprimere un giudizio onesto.
1 La lenta azione del tempo distrugge ad annulla ogni cosa anche la più meravigliosa e a stento ci è consentito di ricostruire, dai miseri avenzi, l'originale bellezza.
Anus ad amphoram
Anus iacere vidit epotam amphoram,
adhuc Falerna faece ex testa nobili
adorem quae iucundum late spargeret.
Hunc postquam totis avida traxit naribus:
"O suavis anima. quale te dicam bonum
antehac fuisse, tales cum sint reliquiae?"
Hoc quo pertineat, dicet qui me noverit.
La vecchia beona
Una vecchia vide un'anfora vuota appoggiata a terra che tuttavia diffondeva dai nobili fianchi di creta un piacevole odore dovuto al residuo del Falerno che aveva contenuto. Dopo averla odorata a piene narici:"O profumo delizioso! Se è così quanto rimasto (potrei dirti) posso immaginare quanto fosse buono quello che conteneva.
Chi mi conosce comprenderà a cosa si riferisca questa mia favola.
2 Chi semina vento raccoglie tempesta.  
Panthera et pastores
Solet a despectis par referri gratia.
Panthera imprudens olim in foveam decidit.
Videre agrestes: alii fustes congerunt,
alii onerant saxis; quidam contra miseriti
periturae quippe, quamvis nemo laederet,
misere panem ut sustineret spiritum.
Nox insecuta est: abeunt securi domum,
quasi inventuri mortuam postridie.
At illa, vires ut refecit languidas,
veloci saltu fovea sese liberat
et in cubile concito properat gradu.
Paucis diebus interpositis provolat,
pecus trucidat, ipsos pastores necat,
et cuncta vastans saevit irato impetu.
Tum sibi timentes, qui ferae pepercerant,
damnum haud recusant, tantum pro vita rogant.
At illa: "Memini qui me saxo petierit,
qui panem dederit; vos timere absistite;
illis revertor hostis, qui me laeserunt".

La pantera e i pastori
Di solito dagli offesi si viene ripagati con identico trattamento. Una pantera per sbadataggine cadde una volta in una fossa. La videro dei pastori: alcuni la colpirono a colpi di bastone e altri con pietre; altri ancora mossi a pietà di colei che, sebbene nessuno le facesse altro male era senza dubbio condannata a morire, le buttarono un pezzo di pane per prolungarne un poco la vita. Soppraggiunge la notte: tutti tornano, senza più pensarci alla propria casa quasi certi che il giorno successivo l'avrebbero trovata morta. Ma quella, non appena recuperate le forze perdute, con un veloce balzo esce dalla fossa e a passi veloci si dirige alla sua tana. Dopo alcuni giorni con un balzo sbuca fuori, sgozza gli animali, uccide gli stessi pastori e con una furia suggerita dall'ira (a lungo repressa) distrugge ogni cosa. Allora. temendo per se stessi, coloro che avevano risparmiato la fiera, pur disposti a perdere il gregge si raccomandano solo di aver salva la vita. Ma quella (rispose):" Ho ben presente chi mi ha colpito con dei sassi e chi mi ha gettato del pane; smettete di aver paura; mi scaglio solo sui nemici che mi ferirono.

3    
Aesopus et rusticus
Usu peritus hariolo vel doctior
vulgo esse fertur, causa sed non dicitur,
notescet quae nunc primum fabella mea.
Habenti cuidam pecora pepererunt oves
Agnos humano capite. Monstro territus
ad consulendos currit maerens hariolos.
Hic pertinere ad domini respondet caput
et avertendum victima periculum.
Ille autem affirmat coniugem esse adulteram
et insitivos significari liberos,
sed expiari posse maiore hostia.
Quid multa? Variis dissident sententiis
hominisque curam cura maiore aggravant.
Aesopus ibi stans, naris emunctae senex,
natura numquam verba cui potuit dare:
"Si procurare vis ostentum, rustice,
Uxores" inquit "da tuis pastoribus".
Esopo e il contadino
Generalmente si dice che ne sa più l'esperto dell'indovino ma (di questo detto) non se ne conosce la spiegazione, che ora, per la prima volta, verrà fornita dalla mia favola. Un pastore aveva delle pecore che gli partorirono degli agnelli con la testa umana. Atterrito dal prodigio corre a consultare gli indovini. Uno gli risponde che è in gioco la sua vita e che occorre scongiurare il pericolo con un sacrificio, un altro invece che la moglie gli è infedele e l'accaduto indica che i suoi figli sono illegittimi ma che un grande sacrificio si può espiare la colpa. Che dire di più? Le varie opinioni sono discordi e non fanno che aggravare l'angoscia del contadino. Esopo, vecchio dal fiuto fine e che la natura mai riuscì ad ingannare trovandosi lì per caso disse:"Caro contadino, se vuoi far cessare questo prodigio da una moglie ai tuoi pastori.
4 I lineamenti del volto non sono sempre espressione della bontà o della malvagità dell'animo.
Lanius et simius
Pendere ad lanium quidam vidit simium,
inter reliquas merces atque obsonia;
quaesivit quidnam saperet. Tum lanius iocans:
"Quale" inquit "caput est, talis praestatur sapor".
Ridicule magis hoc dictum quam vere aestimo;
quando et formosos saepe inveni pessimos,
et turpi facie multos cognovi optimos.
Il macellaio e la scimmia
Tra animali macellati e posti in vendita e altri generi alimentari un tale vide, davanti alla bottega di un macellaio stare appesa una scimmia. Chiese che sapore avesse. Allora il macellaio scherzando rispose:"Come è l'aspetto tale è il sapore". Credo che questa risposta sia stata data come battuta spiritosa e non per convinzione perchè spesso ho incontrato persone belle ma detestabili e molte ottime nonostante la figura infelice.
5 Il successo nel far del male e la quasi certezza di impunità toglie ai malvagi anche l'ultimo residuo di prudenza.

Aesopus et petulans
Successus ad perniciem multos devocat.
Aesopo quidam petulans lapidem impegerat.
"Tanto" inquit "melior." Assem deinde illi dedit,
Sic prosecutus: "Plus non habeo mehercules,
sed unde accipere possis monstrabo tibi.
Venit ecce dives et potens: huic similiter
impinge lapidem et dignum accipies praemium".
Persuasus ille fecit quod monitus fuit;
sed spes fefellit impudentem audaciam:
comprensus namque poenas persolvit cruce
Esopo e l'insolente
Il successo porta molti alla rovina. Un insolente aveva scagliato un sasso contro Esopo."Molto bene" esclamò e gli diede un asse aggiungendo "per Ercole, non ho nulla di più da darti ma posso mostrarti dove puoi guadagnare tanto di più. Guarda, sta arrivando quel signore ricco e potente; tira una pietra pure a quello e riceverai il premio che meriti". Così convinto fece quanto gli era stato suggerito; ma la speranza irrise quello sfacciato temerario: fu infatti imprigionato e pagò la sua pena con la croce.
6 Gli intrusi che senza alcuna autorità o potere , dettano leggi e minacciano a vuoto quanto meno risultano ridicoli.
Musca et mula
Musca in temone sedit et mulam increpans
"Quam tarde es" inquit "non vis citius progredi?
Vide ne dolone collum compungam tibi."
Respondit illa: "Verbis non moveor tuis;
sed istum timeo sella qui prima sedens
iugum flagello temperat lento meum,
et ora frenis continet spumantibus.
Quapropter aufer frivolam insolentiam;
nam et ubi tricandum et ubi sit currendum scio."
Hac derideri fabula merito potest
qui sine virtute vanas exercet minas.
La mosca e la mula
Una mosca si posò sul timone e strepitando disse alla mula:" Come sei lenta, non puoi andare più forte? Bada che non ti punga con il mio pungiglione". Quella rispose:" Non bado alle tue parole; temo solo costui che siede a cassetta e che regola il mio passo con la flessibile frusta e trattiene la bocca con il morso coperto di schiuma. Smetti quindi la tua inutile arroganza; infatti so perfettamente quando si deve andare a passo lento e quando si deve correre".
Questa favola serve a ridicolizzare chi, senza averne i mezzi, muovono inutili minacce.
7 La libertà è un grandissimo dono e nulla ne può compensare la perdita.  
Lupus ad canem
Quam dulcis sit libertas, breviter proloquar.
Cani perpasto macie confectus lupus
forte occucurrit. Dein salutati invicem
ut restiterunt: "Unde sic, quaeso, nites?
Aut quo cibo fecisti tantum corporis?
Ego, qui sum longe fortior, pereo fame".
Canis simpliciter: "Eadem est condicio tibi,
praestare domino si par officium potes".
"Quod?" inquit ille. "Custos ut sis liminis,
a furibus tuearis et noctu domum".
"Ego vero sum paratus: nunc patior nives
imbresque in silvis asperam vitam trahens:
quanto est facilius mihi sub tecto vivere,
et otiosum largo satiari cibo!"
"Veni ergo mecum". Dum procedunt, aspicit
lupus a catena collum detritum cani.
"Unde hoc, amice?" "Nihil est". "Dic sodes tamen".
"Quia videor acer, alligant me interdiu,
luce ut quiescam et vigilem, nox cum venerit:
crepusculo solutus, qua visum est, vagor.
Affertur ultro panis; de mensa sua
dat ossa dominus; frusta iactant familia
et, quod fastidit quisque, pulmentarium.
Sic sine labore venter impletur meus".
"Age, si quo abire est animus, est licentia?"
"Non plane est" inquit. "Fruere, quae laudas, canis:
Regnare nolo, liber ut non sim mihi".
Il lupo e il cane
Cercherò di dimostrare brevemente quanto sia piacevole la libertà. Un lupo cascante per la magrezza incontrò casualmente un cane ben pasciuto. Dopo essersi salutati si fermarono:"Come mai , di grazia, hai un aspetto così florido o con quale cibo sei ingrassato a quel modo? Io che sono tanto più forte sto morendo di fame". E il cane semplicemente:"Simile sorte ti attende se sei disposto a fare per il padrone le stesse cose che faccio io". "Quali servizi?" chiese quello. "Fare la guardia alla porta e di notte difendere la casa dai ladri". "Certo che sono disposto:ora soffro per la neve e la pioggia trascinando una vita miserabile tra i boschi:quanto è per me più facile vivere sotto un tetto e saziarmi di buon cibo senza far nulla!. "Allora vieni con me". Mentre camminano il lupo vede il collo del cane spelato dalla catena. "Cos'è questo amico?" "Non è nulla". "Dimmelo comunqe , ti prego" "Poiché sembro aggressivo, durante il giorno mi legano perchè mi riposi e sia vigile durante la notte: sull'imbrunire, una volta slegato , vado dove voglio. Buttano il pane ai miei piedi, il padrone dalla sua mensa mi da le ossa, la servitù mi butta ghiotti bocconi e le pietanze mi vengono persino a nausea. Così senza fatica riempio la mia pancia". "Dimmi un pò, se uno desidera andarsene c'è possibilità di farlo?" "Assolutamente no "rispose il cane. "Amico, goditi pure le cose che vanti, quanto a me non cambierei la mia libertà neppure con un regno".
8  La vera bellezza non è quella del volto o di un bel corpo ma quella dell'anima che traspare da ogni nostro atteggiamento nei rapporti con i simili. La nostra società continua, comunque, a puntare sulla prima pur se , come racconta un'altra favola dell'autore, altro non è che una bella maschera che, dietro all'apparenza, non ha cervello.  
Soror ad fratrem
Praecepto monitus saepe te considera.
Habebat quidam filiam turpissimam
idemque insignem pulchra facie filium.
Hi, speculum in cathedra matris ut positum fuit,
pueriliter ludentes forte inspexerunt.
Hic se formosum iactat: illa irascitur
nec gloriantis sustinet fratris iocos,
accipiens quippe cuncta in contumeliam.
Ergo ad patrem decurrit laesura invicem
magnaque invidia criminatur filium,
vir natus quod rem feminarum tetigerit.
Amplexus ille utrumque et carpens oscula
dulcemque in ambos caritatem partiens:
"Cotidie" inquit "speculo vos uti volo:
tu formam ne corrumpas nequitiae malis;
tu faciem ut istam moribus vincas bonis".
La sorella e il fratello
Dopo aver ricevuto un ammonimento esaminati di frequente. Un uomo aveva una figlia molto brutta e aveva anche un figlio molto bello. Accorgendosi mentre giocavano, che sulla sedia della madre era stato dimenticato uno specchio, a caso vi posarono su lo sguardo. Lui vanta la sua bellezza: lei si arrabbia e non sopporta gli scherzi del fratello vanitoso prendendo tutto come una offesa. Corre dal padre per vendicarsi a sua volta e, spinta dall'invidia, accusa il fratello, sebbene maschio, di aver toccato oggetti riservati alle sole donne. Egli abbracciandoli entrambi, baciandoli con trasporto e mostrando verso entrambi uguale tenero amore disse:"Voglio che vi guardiate allo specchio ogni giorno: tu per non deturpare la tua bellezza con i segni dei vizi; tu perchè possa compensare, con un comportamente virtuoso, (la poca bellezza di) questo tuo volto.
9  "Chi trova un amico trova un tesoro" dice un noto proverbio.  
Socrates ad amicos
Vulgare amici nomen, sed rara est fides.
Cum parvas aedes sibi fundasset Socrates,
(Cuius non fugio mortem, si famam assequar,
Et cedo invidiae, dummodo absolvar cinis),
Ex populo sic nescio quis, ut fieri solet:
"Quaeso, tam angustam talis vir ponis domum?"
"Utinam" inquit "veris hanc amicis impleam.".
Socrate e gli amici
Il vocabolo "amico" è comune ma la vera amicizia è rara. Avendo gettate le fondamenta di una casetta, Socrate ( di cui invidio la morte se ne potessi conseguire la stessa fama e cederei alla malevolenza altrui se fosse riconosciuta la mia inoocenza pur dopo la morte), uno del popolo, non so chi fosse, come spesso accade domandò: "Perchè essendo tu un uomo così famoso ti costruisci una casa così piccola?". "Volesse il cielo" rispose Socrate "che potessi riempirla di veri amici":
10    
Poeta de credere et non credere
Periculosum est credere et non credere.
Utriusque exemplum breviter exponam rei.
Hippolytus obiit, quia novercae creditum est;
Cassandrae quia non creditum, ruit Ilium.
Ergo exploranda est veritas multum, prius
quam stulta prave iudicet sententia.
Sed fabulosa ne vetustate elevem,
narrabo tibi memoria quod factum est mea.
Maritus quidam cum diligeret coniugem
togamque puram iam pararet filio,
seductus in secretum a liberto est suo,
sperante heredem suffici se proximum.
Qui cum de puero multa mentitus foret
et plura de flagitiis castae mulieris,
adiecit id, quod sentiebat maxime
doliturum amanti: ventitare adulterum
stuproque turpi pollui famam domus.
Incensus ille falso uxoris crimine
simulavit iter ad villam clamque in oppido
subsedit: deinde noctu subito ianuam
intravit, recta cubiculum uxoris petens,
in quo dormire mater natum iusserat,
aetatem adultam servans diligentius.
Dum quaerunt lumen, dum concursant familia,
irae furentis impetum non sustinens
ad lectum vadit, temptat in tenebris caput.
Ut sentit tonsum, gladio pectus transigit,
nihil respiciens, dum dolorem vindicet.
Lucerna allata, simul aspexit filium
sanctamque uxorem dormientem cubiculo,
sopita primo quae nil somno senserat;
repraesentavit in se poenam facinoris
et ferro incubuit, quod credulitas strinxerat.
Accusatores postularunt mulierem
Romamque pertraxerunt ad centumviros.
Maligna insontem deprimit suspicio,
quod bona possideat. Stant patroni fortiter
causam tuentes innocentis feminae.
A Divo Augusto tunc petierunt iudices,
ut adiuvaret iuris iurandi fidem,
quod ipsos error implicuisset criminis.
Qui postquam tenebras dispulit calumniae
certumque fontem veritatis repperit:
"Luat" inquit "poenas causa libertus mali;
namque orbam nato simul et privatam viro
miserandam potius quam damnandam existimo.
Quod si delata perscrutatus crimina
paterfamilias esset, si mendacium
subtiliter limasset, a radicibus
non evertisset scelere funesto domum".
Nil spernat auris, nec tamen credat statim.
Quandoquidem et illi peccant, quos minime putes,
et qui non peccant, impugnantur fraudibus.
Hoc admonere simplices etiam potest,
opinione alterius ne quid ponderent:
ambitio namque dissidens mortalium
aut gratiae subscribit aut odio suo.
Erit ille notus quem per te cognoveris.
Haec exsecutus sum propterea pluribus
brevitate nimia quoniam quosdam offendimus.
Il poeta sul credere e non credere
È ugualmente dannoso credere e non credere. Esporrò in breve un esempio dei due casi. Ippolito morì perché si dette credito alla sua matrigna; perché non si dette credito a Cassandra, rovinò Troia. Bisogna dunque esaminare a fondo la verità, prima di giudicare erroneamente, fuorviati da una errata opinione. Ma per avvalorare la mia tesi, non avvalendomi solo di esempi remoti e mitici, ti racconterò un fatto che ricordo io stesso. Un uomo sposato, che amava molto sua moglie, e stava già preparando per il figlio la toga virile, fu preso in disparte da un suo liberto, che sperava di subentrare come erede più prossimo. Questi, dopo avergli detto molte menzogne sul conto del ragazzo e ancora di più sulla condotta immorale della moglie, donna peraltro casta, aggiunse una cosa che sapeva avrebbe procurato molto dolore a uno innamorato: cioè che un amante frequentava la casa e ne contaminava il buon nome con una tresca vergognosa. Quello prese fuoco al sentire la colpa falsamente imputata alla moglie; finse di partire per un suo podere, ma restò nascosto in città. Poi, di notte, all'improvviso entrò in casa e si diresse difilato alla camera della moglie, dove la madre aveva ordinato al figlio di dormire, per controllare con maggior attenzione la sua età ormai virile. Mentre si cerca un lume, mentre accorre la servitù, (il marito), non riuscendo a trattenere l'impeto dell'ira furibonda, va verso il letto, nel buio palpa una testa. Come sente i capelli corti, gli trafigge il petto con la spada, senza badare a nulla, pur di vendicare l'offesa. Quando fu portata la lucerna, vide sia il figlio che l'onesta moglie che dormiva lì, nella stanza, e che non aveva sentito nulla, sprofondata com'era nel primo sonno; allora eseguì immediatamente contro se stesso la condanna per il suo delitto e si gettò sulla spada che la sua credulità gli aveva fatto impugnare. Gli accusatori citarono in giudizio la moglie e la trascinarono a Roma davanti ai centumviri. Un malevolo sospetto grava su di lei, incolpevole, perché ha ereditato tutti i beni. Gli avvocati sostengono con strenua fermezza la causa della donna innocente. Allora i giudici si rivolsero al Divo Augusto, perché li aiutasse a tenere fede al giuramento prestato; si sentivano infatti intrappolati nelle tortuosità dei capi d'accusa. Questi, dissipate le tenebre della calunnia, e trovata la fonte certa della verità, sentenziò: "Sia punito il liberto, causa di questo male; quanto alla donna, che ha perso il figlio e nello stesso tempo è stata privata del marito, io la ritengo da compatire più che da condannare. Se il padre avesse esaminato a fondo le accuse riferitegli, se avesse vagliato con attenzione la menzogna, non avrebbe sovvertito dalle fondamenta la sua casa con un delitto così funesto". L'orecchio non rifiuti nulla, ma nemmeno dia subito credito, poiché i colpevoli possono essere proprio quelli che non immagineresti assolutamente e, per contro, i non colpevoli sono esposti agli attacchi della calunnia. Questo aneddoto può anche mettere in guardia gli ingenui a non valutare le cose secondo l'opinione degli altri; gli uomini infatti brigano spinti da impulsi contrastanti: o dalla simpatia o dall'odio personale. Un individuo ti sarà noto solo se lo conoscerai direttamente. Ho esposto questi fatti dilungandomi un po' di più, perché a certa gente la nostra eccessiva concisione non piace.
   
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