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Fabularum Phaedri liber tertius
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  Libro terzo delle favole di Fedro
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Eunuchus ad improbum
Eunuchus litigabat cum quodam improbo,
qui super obscena dicta et petulans iurgium
damnum insectatus est amissi corporis.
"En" ait "hoc unum est, cur laborem validius,
integritatis testes quia desunt mihi.
Sed quid fortunae, stulte, delictum arguis?
Id demum est homini turpe, quod meruit pati".
L'eunuco al malvagio
Un eunuco litigava con un malvagio che oltre a frasi oscene e ingiurie grossolane lo scherniva per il danno della mutilazione subita. "Quello che più mi affligge" rispose " è che non ho i testimoni della mia virilità. Ma perchè mi rimproveri scioccamente per una colpa dovuta alla sorte? L'uomo deve solo arrossire per i mali che si è meritato".
12Per Fedro, quanti giudicano alla leggera le sue favole e non ne sanno comprendere il senso intimo o valutarne i pregi, sono paragonabili al pulcino che trovata a caso una perla non sa che farsene perché non ne apprezza il valore.  
Pullus ad margaritam
In sterquilino pullus gallinaceus
dum quaerit escam, margaritam repperit.
"Iaces indigno quanta res" inquit "loco.
Hoc si quis pretii cupidus vidisset tui,
olim redisses ad splendorem pristinum.
Ego quod te inveni, potior cui multo est cibus,
nec tibi prodesse nec mihi quicquam potest".
Hoc illis narro, qui me non intellegunt.
Il pulcino e la perla
Un pulcino, alla ricerca del cibo in un letamaio, trovò una perla. "Per quanto tu sia una cosa tanto pregevole" esclama" ti trovi in un luogo indegno.
Se una persona conscia del tuo valore vedesse questo a quest'ora ti avrebbe già riportato all'antico splendore. Per me che ti ho trovato c'è tant'altro cibo più adatto, ne io posso essere utile a te ne tu a me". Scrivo questa favola per coloro che non mi capiscono.
13 Esiste un detto che potrebbe essere la morale di questa favola:"Al crogiolo si riconosce l'oro vero dal falso". Potrebbe essere che con gli ultimi due versi Fedro abbia voluto attaccare certi plagiari delle sue favole invitandoli a mostrare la loro bravura letteraria.  
Apes et fuci vespa iudice
Apes in alta fecerant quercu favos:
hos fuci inertes esse dicebant suos.
Lis ad forum deducta est, vespa iudice.
Quae genus utrumque nosset cum pulcherrime,
legem duabus hanc proposuit partibus:
"Non inconveniens corpus et par est color,
in dubium plane res ut merito venerit.
Sed ne religio peccet imprudens mea,
alvos accipite et ceris opus infundite,
ut ex sapore mellis et forma favi,
de quis nunc agitur, auctor horum appareat".
Fuci recusant: apibus condicio placet.
Tunc illa talem protulit sententiam:
"Apertum est quis non possit et quis fecerit.
Quapropter apibus fructum restituo suum".
Hanc praeterissem fabulam silentio,
si pactam fuci non recusassent fidem.
Le api , i fuchi e la vespa
Delle api avevano fatto il favo su un'alta quercia: i fuchi fannulloni sostenevano fosse loro. La vertenza fu portata davanti al tribunale avendo come giudice una vespa. Conoscendo questa a meraviglia le attitudini di entrambi propose questa soluzione alle due parti:"I vostri corpi sono simili ed il colore è identico, per cui giustamente la cosa presenta dei dubbi. Ma, affinchè il mio coscienzoso giudizio non sia falsato da imprudenza, prendete i favi e versate il miele nelle cellette affinché dal sapore del miele e dalla forma del favo risulti certo chi sia l'autore di quello di cui stiamo discutendo".
I fuchi non accettano: alle api piace la proposta. La vespa allora così sentenzia:"Risulta evidente chi non era in grado di costruire i favi e chi invece li ha fatti. Restituisco pertanto alle api il frutto del loro lavoro". Non avrei scritto questa favola se i fuchi non avessero mancato alla parola data.
14   Il gioco delle noci era, nell'antichità, il passatempo più comune tra i ragazzini e certo uno dei più economici. L'espressione latina"nuces relinquere" (=abbandonare le noci) per i romani significava, infatti, abbandonare "le abitudini puerili" e quindi "crescere, diventare adulto".
De luxu et severitate
Puerorum in turba quidam ludentem Atticus
Aesopum nucibus cum vidisset, restitit
et quasi delirum risit. Quod sensit simul
derisor potius quam deridendus senex,
arcum retensum posuit in media via:
"Heus." inquit "sapiens, expedi quid fecerim".
Concurrit populus. Ille se torquet diu
nec quaestionis positae causam intellegit.
Novissime succumbit. Tum victor sophus:
"Cito rumpes arcum semper si tensum habueris;
at si laxaris, cum voles erit utilis.
Sic lusus animo debent aliquando dari,
ad cogitandum melior ut redeat tibi".
L'utilità dei divertimenti
Avendo un Ateniese visto Esopo giocare con le noci in un gruppo di ragazzini si fermò e lo derise come se quello fosse uscito di senno. Accorgendosi di ciò, il vecchio, capace di deridere gli altri anzichè d'essere deriso, pose al centro della strada un arco dopo averne allentata la corda. "Ehi tu sapientone" esclamò" spiega un pò quello che ho fatto". La gente nel frattempo accorre. Quello a lungo si tormenta ma non comprende il significato di quanto è stato fatto. Alla fine si arrende. Il vincitore che la sapeva lunga spiega:" Se terrai un arco sempre in tensione lo romperai in fretta, lascialo allentato e te ne potrai servire quando lo desideri. Allo stesso modo anche alla mente di tanto in tanto occorre dare un pò di svago affinchè ti sia resa più pronta alle fatiche intellettuali.
15    
Canis ad agnum
Inter capellas agno balanti canis:
"Stulte", inquit "erras; non est hic mater tua;"
ovesque segregatas ostendit procul.
"Non illam quaero, quae, cum libitum est, concipit,
dein portat onus ignotum certis mensibus,
novissime prolapsam effundit sarcinam;
verum illam, quae me nutrit admoto ubere
fraudatque natos lacte, ne desit mihi".
"Tamen illa est potior quae te peperit"."Non ita est.
Unde illa scivit niger an albus nascerer?
Age porro: parere si voluisset feminam,
Quid profecisset, cum crearer masculus?
Beneficium sane magnum natali dedit,
Ut exspectarem lanium in horas singulas.
Cuius potestas nulla in gignendo fuit,
Cur hac sit potior quae iacentis miserita est
Dulcemque sponte praestat benevolentiam?
Facit parentes bonitas, non necessitas".
His demonstrare voluit auctor versibus
Obsistere homines legibus, meritis capi.
Il cane e l'agnello
Un cane sentendo un agnello belare in mezzo a delle capre gli disse:"Stolto, stai sbagliando; tua madre non è qui"; e gli indica lontano le pecore separate dal gregge. "Non cerco quella che mi ha concepito quando è piaciuto a lei, che ha portato un fardello sconosciuto per un certo numero di mesi e, per ultimo mi ha partorito (ha lasciato scendere lentamente il peso); cerco piuttosto chi mi nutre offrendomi le sue mammelle e sottrendo il latte ai suoi nati perché non manchi a me". "Quella che ti ha partorito è tuttavia più importante". "Assolutamente no" rispose l'agnello "Sapeva forse se sarei nato bianco o nero? Continuiamo: se avesse desiderato partorire una femmina che avrebbe ottenuto partorendo un maschio?. Mi ha fatto certo un grande regalo dandomi la vita, considerando che attendo ogni momento l'arrivo del macellaio! Quella che non ebbe alcun potere nel darmi la vita perchè deve essere considerata migliore di quella che ha avuto pietà di me abbandonato e che gratuitamente mi offre la sua generosità? E' l'amore e non il sangue che rende genitori". Con questi versi l'autore vuole dimostrare che gli uomini che rifiutano le leggi si arrendono a chi fa loro del bene.
16    
Cicada et noctua
Humanitati qui se non accommodat,
plerumque poenas oppetit superbiae.
Cicada acerbum noctuae convicium
faciebat, solitae victum in tenebris quaerere
cavoque ramo capere somnum interdiu.
Rogata est ut taceret. Multo validius
clamare coepit. Rursus admota prece
accensa magis est. Noctua ut vidit sibi
nullum esse auxilium et verba contemni sua,
hac est aggressa garrulam fallacia:
"Dormire quia me non sinunt cantus tui,
sonare citharam quos putes Apollinis,
potare est animus nectar, quod Pallas mihi
nuper donavit; si non fastidis, veni;
una bibamus". Illa, quae arebat siti,
simul cognovit vocem laudari suam,
cupide advolavit. Noctua egressa e cavo
trepidantem consectata est et leto dedit.
Sic viva quod negarat tribuit mortua.
La cicala e la civetta
Chi non si adatta ad essere affabile molto spesso sconta la pena della sua superbia. Una cicala disturbava con il suo noioso frinire una civetta abituata a cercarsi il cibo di notte e riposare nella cavità di un tronco durante il giorno. Le fu chiesto di stare zitta. Riprese a stridere con maggior forza. Un rinnovato invito a non disturbare la eccitò ancor più. La civetta come si accorse di non approdare a nulla con le sue lamentele cercò di far cadere l'importuna in questo tranello:" Poichè i tuoi canti non mi fanno dormire in quanto sembrano suonati dalla cetra di Apollo ho voglia di bere un nettare che ultimamente mi ha regalato Pallade; se sei d'accordo, vieni, beviamo insieme. Quella, che ardeva per la sete e aveva appena sentito lodare la sua voce, con gioia volò lì. La civetta uscita dalla cavità si scagliò su quella impaurita e la uccise. Così le concesse da morta ciò che le aveva negato da viva.
17    
Arbores in deorum tutela
Olim quas vellent esse in tutela sua,
divi legerunt arbores. Quercus Iovi
et myrtus Veneri placuit, Phoebo laurea,
pinus Cybebae, populus celsa Herculi.
Minerva admirans, quare steriles sumerent
interrogavit. Causam dixit Iuppiter:
"Honorem fructu ne videamur vendere".
"At mehercules narrabit quod quis voluerit,
oliva nobis propter fructum est gratior".
Tunc sic deorum genitor atque hominum sator:
"O nata, merito sapiens dicere omnibus.
Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria".
Nihil agere quod non prosit fabella admonet.
Alberi sotto la protezione degli dei
Un giorno gli dei scelsero degli alberi che avrebbero voluto proteggere. Giove scelse la quercia, a Venere piacque il mirto, Apollo l'alloro, Cibele il pino, Ercole l'alto pioppo. Minerva meravigliata chiese perché gli dei avessero scelto alberi senza frutti. Fu Giove a spiegarne il motivo:"Affinché non sembri che noi mercanteggiamo la protezione per averne i frutti".
"Ma , per Ercole, dica pure ciascuno quello che gli piace ma io scelgo l'ulivo per il frutto". Davanti a simile decisione il padre degli dei e creatore degli uomi commentò:" Figlia mia, a ragion veduta tutti vantano la tua saggezza! Se le nostre azioni sono inutili la gloria che ne deriva è inutile". La favola consiglia di non fare nulla che non sia utile.
18 Ognuno sia contento dei talenti che gli sono stati donati e non guardi con occhio invidioso i pregi altrui. Nessuno ha ricevuto solo doni buoni o cattivi ma frammisti in proporzione variabile.  
Pavo ad Iunonem de voce sua
Pavo ad Iunonem venit, indigne ferens
cantus luscinii quod sibi non tribuerit;
illum esse cunctis avibus admirabilem,
se derideri simul ac vocem miserit.
Tunc consolandi gratia dixit dea:
"Sed forma vincis, vincis magnitudine;
nitor smaragdi collo praefulget tuo
pictisque plumis gemmeam caudam explicas".
"Quo mi" inquit "mutam speciem, si vincor sono?"
"Fatorum arbitrio partes sunt vobis datae:
tibi forma, vires aquilae, luscinio melos,
augurium corvo, laeva cornici omina,
omnesque propriis sunt contentae dotibus.
Noli affectare quod tibi non est datum,
delusa ne spes ad querelam recidat".
Giunone e il pavone
Un pavone si reca da Giunone indignato perchè non gli aveva donato il canto dell'usignolo; mentre quello era oggetto di ammirazione tra tutti gli uccelli, lui veniva deriso non appena emetteva un suono. Per consolarlo la dea rispose:"Ma tu vinci in bellezza, vinci per il tuo portamento maestoso; il colore dello smeraldo dona splendore al tuo collo e fai sfoggio di una coda splendente come gemma per le variopinte piume". "Perché" chiese " mi hai dato una bellezza muta se sono secondo nel canto?" "Le varie attitudini vi sono state date dal volere del fato: a te la bellezza, all'aquila la forza, all'usignolo la dolcezza del canto, al corvo il dono della predizione, alla cornacchia i lieti presagi ed ognuno di questi sono felici per le loro doti. Non desiderare quello che non ti è stato dato affinché la speranza delusa non si converta in tormento.
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Aesopus respondet garrulo
Aesopus domino solus cum esset familia,
parare cenam iussus est maturius.
Ignem ergo quaerens aliquot lustravit domus,
tandemque invenit ubi lucernam accenderet.
Tum circum eunti fuerat quod iter longius
effecit brevius: namque recta per forum
coepit redire. Et quidam e turba garrulus:
"Aesope, medio sole quid cum lumine?"
"Hominem" inquit "quaero", et abiit festinans domum.
Hoc si molestus ille ad animum rettulit,
sensit profecto se hominem non visum seni,
intempestive qui occupato adluserit.
Risposta di Esopo ad un importuno
Essendo Esopo il solo servo in casa del suo padrone gli fu ordinato di preparare la cena prima del solito. Cercando il fuoco gira di casa in casa e finalmente trova dove accendere la lucerna. Poiché nel suo girovagare si era allontanato troppo e la strada si era fatta troppo lunga la accorciò: e infatti senza fare lunghi giri decise di tornare passando per il mercato. Uno stolto gli grida dalla folla:" Esopo che fai di pomeriggio con la lampada accesa?" "Cerco un uomo (che sia veramente tale)" rispose e affrettandosi tornò a casa. Se quel seccatore meditò ben bene questa risposta certo comprese di non essere sembrato un uomo al saggio Esopo avendo canzonato, nel momento sbagliato, chi stava lavorando.
"Palam mutire plebeio piaculum est" (= Costituisce colpa per chi viene dalla plebe protestare apertamente). Da questo verso si deduce che una delle cause dei suoi mali sia stata la libertà di parola e le allusioni pungenti a personaggi altolocati e potenti dei suoi tempi.  
Epilogus: Phaedrus ad Eutichum
Supersunt mihi quae scribam, sed parco sciens;
primum ne videar esse tibi molestior,
distringit quem multarum rerum varietas;
dein si quis eadem forte conari velit,
habere ut possit aliquid operis residui:
quamvis materiae tanta abundet copia,
labori faber ut desit, non fabro labor.
Brevitati nostrae praemium ut reddas peto
quod es pollicitus: exhibe vocis fidem.
Nam vita morti propior est cotidie,
et hoc minus perveniet ad me muneris,
quo plus consumet temporis dilatio.
Si cito rem perages, usus fiet longior:
fruar diutius, si celerius coepero.
Languentis aevi dum sunt aliquae reliquiae,
auxilio locus est: olim senio debilem
frustra adiuvare bonitas nitetur tua,
cum iam desierit esse beneficium utile
et mors vicina flagitabit debitum.
Stultum admovere tibi preces existimo,
proclivis ultro cum sit misericordia.
Saepe impetravit veniam confessus reus:
quanto innocenti iustius debet dari?
Tuae sunt partes; fuerunt aliorum prius,
Dein simili gyro venient aliorum vices.
Decerne quod religio, quod patitur fides,
et graviter me tutare iudicio tuo.
Excedit animus quem proposuit terminum;
sed difficulter continetur spiritus,
Integritatis qui sincerae conscius
a noxiorum premitur insolentiis.
Qui sint, requires; apparebunt tempore.
Ego, quondam legi quam puer sententiam,
"Palam mutire plebeio piaculum est",
Dum sanitas constabit, pulchre meminero.
Epilogo: Fedro ad Eutico
Avrei ancora molto da scrivere ma me ne astengo; in primo luogo per non essere troppo importuno nei tuoi confronti che le varie e molte faccende tengono occupato; poi in secondo luogo per permettere a chi volesse cimentarsi in questo genere poetico di diporre di materiale a cui lavorare: anche se l'abbondanza di materiale è tanta che non è il lavoro che manca ma l'operaio. Reclamo la ricompensa che hai promesso per la mia stringatezza:mantieni la parola. La mia vita infatti è, ogni giorno, più vicina alla morte e tanto meno potrò godere del beneficio quanto maggiore sarà il ritardo nell'accordarlo. Se agirai presto il vantaggio sarà di più lunga durata: ne fruirò più a lungo se inizierò a goderne prima. Restandomi ancora pochi anni di vita triste è ora che mi si aiuti: un giorno la tua benevolenza cercherà troppo tardi di aiutare me, stremato per la vecchiaia, allorchè il beneficio cesserà di essere di qualche utilità e la morte vicina reclamerà quanto le è dovuto. Ritengo sia da stolti rivolgere a te preghiere per tua natura già incline alla benevolenza. Il reo confesso ha chiesto spesso di essere perdonato: quanto non è più giusto perdonare un innocente? Ora è il tuo turno; prima lo fu di altri poi di altri ancora con identico avvicendamento. Decidi come coscienza e verità te lo consentono, e saggiamente proteggimi secondo il tuo giudizio. Ho oltrepassato i confini che mi ero proposto ma difficilmente si può trattenere uno spirito conscio della propria sincera lealtà che è fatto segno delle calunnie di persone malvagie. Chi sono costoro, tu chiedi; un giorno verranno smascherati. Io, per parte mia , finchè vivrò ricorderò quella sentenza letta quando ancora ero bambino: "Costituisce colpa per chi viene dalla plebe protestare apertamente".
   
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