Prologus: Poeta ad Particulonem
Cum destinassem operis habere terminum
in hoc ut aliis esset materiae satis,
consilium tacito corde damnavi meum.
Nam si quis talis etiam tituli est appetens,
quo pacto divinabit quidnam omiserim,
ut illud ipsum cupiat famae tradere,
sua cuique cum sit animi cogitatio
colorque proprius! Ergo non levitas mihi,
Sed certa ratio causam scribendi dedit.
Quare, Particulo, quoniam caperis fabulis,
Quas Aesopias, non Aesopi, nomino,
Quia paucas ille ostendit, ego plures fero,
Usus vetusto genere, sed rebus novis,
Quartum libellum, cum vacarit, perleges.
Hunc obtrectare si volet malignitas,
Imitari dum non possit, obtrectet licet.
Mihi parta laus est quod tu, quod similes tui
Vestras in chartas verba transfertis mea,
Dignumque longa iudicatis memoria.
Inlitteratum plausum cur desidero?
Prologo: Il poeta a Particulone
Avevo preso la decisione di smettere questo mio lavoro con
lo scopo di lasciare ad altri materiale sufficiente per continuarla
ma poi, tra me e me, ho deciso di cambiare idea. Se qualcuno
infatti aspira a tale titolo di poeta come potrebbe indovinare
cosa ho omesso qualora desiderasse diventare famoso con questo
genere letterario, ognuno ha il suo modo di pensare e un proprio
stile! Pertanto non è per capriccio che mi sono rimesso
a scrivere ma a ragion veduta. Pertanto,
caro Particulone, poichè ti piacciono queste favole,
che definisco Esopiane e non di Esopo , in quanto lui ne ha
raccontate poche mentre io ne offro molte di più, servendomi
di un genere letterario antico ma adattandolo ad un materiale
favolistico nuovo, a tempo perso leggi attentamente questo
quarto libro. Non potendolo gli invidiosi imitare se vorranno
censurarlo è loro permesso farlo. In quanto a me è
un onore che tu e altre persone come te dedichiate uno spazio
nella vostra biblioteca alle mie opere giudicandomi degno
di ricordo presso i posteri. Per quale motivo devo desiderare
il plauso degli ignoranti?.
Erano chiamati Galli ,
Coribanti o Cureti i sacerdoti di Cibele. Durante le feste
in suo onore dette Megalesie questi sacerdori percorrevano
le vie di Roma , cantando inni e raccogliendo elemosine per
il servizio religioso.
Asinus et Galli
Qui natus est infelix, non vitam modo
tristem decurrit, verum post obitum quoque
persequitur illum dura fati miseria.
Galli Cybebes circum in quaestus ducere
asinum solebant baiulantem sarcinas.
Is cum labore et plagis esset mortuus,
detracta pelle sibi fecerunt tympana.
Rogati mox a quodam, delicio suo
quidnam fecissent, hoc locuti sunt modo:
"Putabat se post mortem securum fore;
ecce aliae plagae congeruntur mortuo".
L'asino e i sacerdoti di Cibele
Chi nasce sventurato non solo trascina una vita miserabile ma
il destino avverso lo perseguita anche dopo la morte. I sacerdoti
di Cibele erano soliti condurre durante la questua un asino
stracarico . Morto per il troppo lavoro e per le tante bastonate,
lo scuoiarono e ne fecero dei tamburi per loro uso. Avendo qualcuno
chiesto cosa ne avessero fatto del loro caro beniamino risposero:
"Pensava che una volta morto sarebbe stato in pace; ecco
invece che riceve botte anche da morto".
2 Più facilmente i giovani che non gli
anziani, per inesperienza e spensieratezza non sempre riescono
a valutare l'entità dei pericoli con i rischi e i drammi
che spesso ne conseguono. Diversamente avviene per quanti agiscono
con prudenza senza lasciarsi illudere dalle false apparenze.
N.B. Letteralmente la conclusione della favola suonerebbe così:"Possa
tu, che te ne stai lì nascosta, godere ottima salute
visto che sei farina" ma credo che il vecchio topo
le abbia voluto augurare ben altro alla donnola considerando
che farina non era!
Mustela et mures
Ioculare tibi videtur, et sane levi,
dum nihil habemus maius, calamo ludimus.
Sed diligenter intuere has nenias:
quantam sub titulis utilitatem reperies.
Non semper ea sunt quae videntur; decipit
frons prima multos: rara mens intellegit
quod interiore condidit cura angulo.
Hoc ne locutus sine mercede existimer,
fabellam adiciam de mustela et muribus.
Mustela cum annis et senecta debilis
mures veloces non valeret assequi,
involvit se farina et obscuro loco
abiecit neglegenter. Mus escam putans
Assiluit et compressus occubuit neci.
Alter similiter, deinde perit et tertius.
Mox venit aliquot saeculis retorridus
qui saepe laqueos et muscipula effugerat;
proculque insidias cernens hostis callidi:
"Sic valeas" inquit "ut farina es quae iaces."
La donnola e i topi
Questo ti sembrerà poco serio e davvero non avendo nulla
di più importante da fare giochiamo con penna leggera.
Ma leggi con attenzione queste poesiole: quanto di utile troverai
in questi scritti. Non sempre le cose sono come appaiono; il
primo aspetto inganna molti, ma poi una mente accorta scopre
cosa l'autore ha accuratamente nascosto in un angolo. Perchè
non si pensi che parli tanto per parlare aggiungo la favola
della donnola e dei topi. Una donnola indebolita dagli anni
e dalla vecchiaia non più in grado di catturare i veloci
topi si coprì di farina e senza far troppo la schizzinosa
s'andò a cacciare in un angolo buio. Un topo scambiandola
per un buon boccone s'accostò saltellando per la gioia
e venne ucciso. Ad un secondo accadde la stessa cosa e allo
stesso modo morì anche un terzo. Essendosi susseguiti
tanti altri ne capitò pure uno incartapecorito per gli
anni che spesso era sfuggito a lacci e trappole; e riconoscendo
da lontano l'agguato preparato dall'astuta nemica esclamò:"Possa
tu, che stai là rintanata, morire com'è vero che
non sei farina".
3Questa favoletta è certo tra quelle
più conosciute. L'insegnamento finale risulta essere
tra quelli meno applicati.
De vulpe et uva
Fame coacta vulpes alta in vinea
Uvam appetebat summis saliens viribus;
Quam tangere ut non potuit, discedens ait:
"Nondum matura est; nolo acerbam sumere".
Qui facere quae non possunt verbis elevant,
Ascribere hoc debebunt exemplum sibi.
La volpe e l'uva
Spinta dalla fame una volpe tentava di cogliere, saltando con
tutte le sue forze, l'uva su un'alta pergola. Come si avvide
di non poterla raggiungere mentre si allontanava commentò:
"Non è ancora matura, non mi va di raccoglierla
acerba". Coloro che svalutano a parole quanto non sono
in grado di fare devono applicare a se stessi questo esempio.
4 Le soddisfazioni che una vendetta appagata
ci può offrire sono sempre amare e, spesso, tornano di
grave danno anche allo stesso che se le è procurate.
Chi non ricorda la storiella del marito tradito che, per punire
la moglie, si evirò?
Equus et aper
Equus sedare solitus quo fuerat sitim,
dum sese aper volutat turbavit vadum.
Hinc orta lis est. Sonipes iratus fero
auxilium petiit hominis, quem dorso levans
rediit ad hostem. Iactis hunc telis eques
postquam interfecit, sic locutus traditur:
"Laetor tulisse auxilium me precibus tuis,
nam praedam cepi et didici quam sis utilis".
Atque ita coegit frenos invitum pati.
Tum maestus ille: "Parvae vindictam rei
Dum quaero demens, servitutem repperi".
Haec iracundos admonebit fabula
impune potius laedi quam dedi alteri.
Il cavallo e il cinghiale
Un cinghiale sguazzando intorbidì il guado proprio là
dove era solito levarsi la sete il cavallo. Ne scoppiò
una lite. Il destriero, irritato con il cinghiale, chiese l'aiuto
dell'uomo e prendendolo sul dorso ritornò verso il nemico.
Raccontano che il cavaliere dopo aver ucciso con le frecce il
cinghiale abbia esclamato:"Sono contento di averti dato
l'aiuto richiesto , ho infatti catturato una preda e ho imparato
quanto tu mi possa essere utile". Detto questo lo costrinse
, contro la sua voglia, a sopportare il morso. Melanconicamente
allora quello:" Mentre reso cieco dall'ira cerco di vendicarmi
di una offesa da nulla, ho trovato la schiavitù".
Questa favola ammonirà gli iracondi che è preferibile
lasciarsi offendere piuttosto che mettersi in mano d'altri.
Poeta
Plus esse in uno saepe quam in turba boni,
narratione posteris tradam brevi.
Quidam decedens tres reliquit filias:
Unam formosam et oculis venantem viros;
at alteram lanificam et frugi rusticam;
devotam vino tertiam et turpissimam.
Harum autem matrem fecit heredem senex
sub condicione totam ut fortunam tribus
aequaliter distribuat, sed tali modo:
"Ni data possideant aut fruantur"; tum: "simul
habere res desierint, quas acceperint,
centena matri conferant sestertia".
Athenas rumor implet. Mater sedula
iuris peritos consulit; nemo expedit
quo pacto non possideant, quod fuerit datum,
fructumve capiant; deinde quae tulerint nihil,
quanam ratione conferant pecuniam.
Postquam consumpta est temporis longi mora,
nec testamenti potuit sensus colligi,
Fidem advocavit iure neglecto parens.
Seponit moechae vestem, mundum muliebrem,
lavationem argenteam, eunuchos, glabros;
lanificae agellos, pecora, villam, operarios,
boves, iumenta et instrumentum rusticum;
potrici plenam antiquis apothecam cadis,
domum politam et delicatos hortulos.
Sic destinata dare cum vellet singulis
et approbaret populus, qui illas noverat,
Aesopus media subito in turba constitit:
"O si maneret condito sensus patri,
quam graviter ferret, quod voluntatem suam
interpretari non potuissent Attici."
Rogatus deinde solvit errorem omnium:
"Domum et ornamenta cum venustis hortulis
et vina vetera date lanificae rusticae;
vestem, uniones, pedisequos et cetera
illi assignate vitam quae luxu trahit;
agros, bovile et pecora cum pastoribus
donate moechae. Nulla poterit perpeti,
ut moribus quid teneat alienum suis.
Deformis cultum vendet ut vinum paret;
agros abiciet moecha ut ornatum gerat;
at illa gaudens pecore et lanae dedita
quacumque summa tradet luxuriae domum.
Sic nulla possidebit quod fuerit datum,
et dictam matri conferent pecuniam
ex pretio rerum quas vendiderint singulae".
Ita quod multorum fugit imprudentiam
unius hominis repperit sollertia.
Il poeta: Testamento spiegato da
Esopo
Che possa esserci più saggezza in una sola persona che
in una folla lo tramanderò ai posteri con questo breve
racconto. Un uomo morendo lasciò tre figlie: Una bella
i cui sguardi erano sempre a caccia di uomini; la seconda amante
della vita contadina e dei lavori a maglia; la terza bruttissima
e sempre attaccata alla bottiglia. Il vecchio lasciò
la loro madre erede con la clausola che il patrimonio venisse
diviso in tre parti uguali tra le figlie ma alle seguenti condizioni:
"la prima che non potesssero avere di questi beni né
la proprietà né l'usufrutto e la seconda di versare
alla madre cento sesterzi nel momento in cui cessassero di possedere
quanto ricevuto". Le chiacchiere in Atene si sprecano.
La madre, sollecita consulta gli esperti in legge. Nessuno riesce
a spiegarsi come non possano avere né la proprietà
né il godimento dei beni ricevuti; poi dal momento che
non hanno nulla come sia possibile versare il denaro. Dopo aver
perso un bel pò di tempo senza che si potesse cogliere
il senso del testamento, la madre ignorando la legge decise
di operare secondo la sua coscienza. Alla figlia un pò
civetta assegna vestiti, oggetti femminili, il servizio da bagno
in argento, gli eunuchi, e i giovani schiavi; a quella amante
della lana il piccolo podere, gli armenti, la fattoria, gli
operai, i buoi, le bestie da soma e gli attrezzi agricoli; alla
beona lascia la cantina zeppa di antichi orci di vino, una elegante
casa e incantevoli giardinetti. Mentre stava per consegnare
alle figlie le parti loro destinate, certa del consenso del
popolo che delle figlie ben ne conosceva le inclinazioni, all'improvviso
in mezzo alla folla si fermò Esopo:" Come soffrirebbe
il padre sepolto se potesse sentirvi scoprendo che gli Ateniesi
non sono riusciti ad interpretare il suo testamento. Interrogato,
spiegò il loro errore:"Assegnate a quella, cui piace
la vita contadina e la filatura, la casa, i mobili, gli incantevoli
giardini e i vini invecchiati; invece vesti, perle, servi e
tutto il resto datele a quella che passa la vita tra i bagordi;
campi, stalle e gli armenti con i pastori vadano alla adescatrice"
. Nessuna riuscirà a conservare a lungo beni così
lontani dalle sue abitudini. La bruttona venderà gli
ornamenti per procurarsi il vino, la peripatetica darà
via le terre per comprare dei gioielli; quella cui piacciono
le greggi e la lana si disferà, per qualsiasi cifra,
della casa lussuosa. A questo punto nessuno possederà
quanto gli era stato donato e potranno, con il denaro ricavato
da quanto venduto da ognuna di esse, dare alla madre la rendita
richiesta. Così quello che era sfuggito a molti per incapacità
di riflettere fu reso noto dalla saggezza di un solo uomo.
6 Non sempre gli stracci vanno all'aria come
diceva don Abbondio anzi a volte avviene il contrario: i deboli
e gli impotenti trovano nella loro stessa debolezza e impotenza
la più sicura difesa.
Pugna murium et mustelarum
Cum victi mures mustelarum exercitu
(historia quorum et in tabernis pingitur),
fugerent et artos circum trepidarent cavos,
aegre recepti tamen evaserunt necem.
Duces eorum, qui capitibus cornua
suis ligarant, ut conspicuum in proelio
haberent signum quod sequerentur milites,
haesere in portis suntque capti ab hostibus;
quos immolatos victor avidis dentibus
capacis alvi mersit tartareo specu.
Quemcumque populum tristis eventus premit,
periclitatur magnitudo principum;
minuta plebes facili praesidio latet.
La battaglia dei topi e delle donnole
I topi sconfitti dall'armata delle donnole (racconto che troviamo
anche raffigurato all'ingresso delle osterie) fuggendo e facendo
ressa attorno ai buchi troppo stretti, pur entrando a fatica,
evitarono di essere uccisi. I loro comandanti che avevano allacciato
alla testa delle corna per avere in battaglia un segno ben visibile
affinché i soldati li possero seguire da lontano, rimasero
impigliati dinnanzi all'entrata e furono catturati dai nemici;
il vincitore li immola con i suoi denti avidi nella sotterranea
caverna dell'ampio ventre.
Quando un triste evento tiene in affanno un popolo sono in pericolo
le persone altolocate; il popolino trova sempre una via di scampo.
7"Chi
sa fa e chi non sa insegna" recita un vecchio adagio.
Quando frequentavo il liceo chiesi al professore di lettere
come mai, nessun critico letterario si sia mai cimentato in
un'opera letterario di ampio respiro. "Vedi" rispose
" noi critici siamo come la cote. Questa pietra non taglia
ma è indispensabile per affilare la lame della falce
con cui si miete il grano".
Della cote forse non se ne può fare a meno ma di tanti
critici ?
Il "coturno", stivaletto
dalle suole molto alte per dare un aspetto più imponente
a chi lo indossava, era riservato agli attori tragici e il suo
uso sulla scena, fu introdotto da Eschilo. La frase "calzare
il coturno" significò sia "calcare
le scene" come attore sia "scrivere tragedie"
come drammaturco. Nella favola si parla di "nuovi coturni
calzati da Esopo" nuovi perchè inusitati per
Esopo che non aveva mai trattato il genere tragico.
Phaedrus
Tu qui, nasute, scripta destringis mea
et hoc iocorum legere fastidis genus,
parva libellum sustine patientia,
severitatem frontis dum placo tuae
et in cothurnis prodit Aesopus novis.
Utinam nec umquam Pelii nemoris iugo
pinus bipenni concidisset Thessala!
Nec ad professae mortis audacem viam
fabricasset Argus opere Palladio ratem,
inhospitalis prima quae ponti sinus
patefecit in perniciem Graium et Barbarum!
Namque et superbi luget Aeetae domus,
et regna Peliae scelere Medeae iacent,
quae saevum ingenium variis involvens modis
illic per artus fratris explicuit fugam,
hic caede patris Peliadum infecit manus.
Quid tibi videtur? "Hoc quoque insulsum est" ait
"Falsoque dictum; longe quia vetustior
aegaea Minos classe perdomuit freta
iustoque vindicavit exemplo impetum".
Quid ergo possum facere tibi, lector Cato,
si nec fabellae te iuvant nec fabulae?
Noli molestus esse omnino litteris,
maiorem exhibeant ne tibi molestiam.
Hoc illis dictum est, qui stultitia nauseant
et ut putentur sapere caelum vituperant.
Fedro
Tu, critico acuto, che censuri questi miei scritti e ti da fastidio
leggere questo genere scherzoso, sopporta con un poco di pazienza
questo libretto mentre spiano il severo cipiglio della tua fronte
ed Esopo si fa avanti calzando i nuovi coturni.
Oh non fosse mai caduto sotto i colpi della scure il tessalico
pino sul declivio del bosco del Pelio! Nè Argo, che correva
audacemente verso una morte certa, avesse mai costruito con
l'aiuto di Pallade la nave che per prima esplorò i golfi
del mare inospitale per la rovina dei Greci e dei Barbari! Ora
infatti, per i crimini di Medea, piange la dimora del superbo
re Eete ed è un cumulo di rovine il regno di Pelia ;
ella, nascondendo la sua malvagia indole in vari modi, là (nel
mare della Colchide) si spianò la via della fuga facendo a pezzi
le membra del fratello , qui ( a Iolco in Tessalia) macchiò
le mani delle figlie del re Pelia spingendole ad uccidere il
padre". Che te ne pare? "Anche questo", dici, "è assurdo e falso
perché Minosse di gran lunga più antico (di Giasone)
esplorò con la flotta le insenature (del mar Egeo) e
mise fine con esemplare castigo alle incursioni (dei pirati)".
Cosa posso dunque fare per te, mio caro censore, se non ti piacciono
né le favole né le tragedie? Smettila di essere seccante con
i letterati, perché non ti diano una seccatura maggiore. Questo
è detto per coloro che si infastidiscono d'ogni cosa per la
mancanza di perspicacia e, pur di apparire sapienti, dicono
corna persino degli dei.
Serpens ad fabrum
ferrarium
Mordaciorem qui improbo dente appetit
hoc argumento se describi sentiat.
In officinam fabri venit vipera.
Haec cum temptaret si qua res esset cibi,
limam momordit. Illa contra contumax:
"Quid me" inquit "stulta, dente captas laedere,
omne assuevi ferrum quae corrodere?"
La vipera nell'officina di un fabbro
Chi con dente aguzzo morde uno con denti più robusti
dei suoi potrà riconoscersi in questa favola.
Nell'officina di un fabbro entrò una vipera.
Questa, mentre cercava se ci fosse qualche cosa da mangiare,
addentò una lima. Quella invece resistendo ai morsi chiese:"Stolta
perchè tenti di mordere me che sono abituata a rodere
ogni ferro?
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