9Spesso i più sciocchi pagano ... la
festa ai più scaltri.
Vulpis et caper
Homo in periclum simul ac venit callidus,
reperire effugium quaerit alterius malo.
Cum decidisset vulpes in puteum inscia
et altiore clauderetur margine,
devenit hircus sitiens in eundem locum;
simul rogavit esset an dulcis liquor
et copiosus. Illa fraudem moliens:
"Descende, amice; tanta bonitas est aquae
voluptas ut satiari non possit mea".
Immisit se barbatus. Tum vulpecula
evasit puteo nixa celsis cornibus,
hircumque clauso liquit haerentem vado.
La volpe e il becco
L'uomo scaltro non appena si trova in pericolo cerca di uscirne
a spese di un altro. Una volpe caduta, senza avvedersene, in
un pozzo vi restò prigioniera a causa del parapetto troppo
alto. Un capro assetato arrivò nello stesso luogo e chiese
se l'acqua fosse dolce e abbondante. Quella meditando un tranello
rispose:"Scendi amico, è talmente buona che non
riesco a levarmene la voglia". Il capro entrò nel
pozzo. Allora la volpe essendosi fatta puntello delle alte corna
uscì dal pozzo e il capro rimase imprigionato in quel
fosso senza vie di uscita.
10Anche questa risulta essere una delle favole
più note al genere umano ma, come sempre avviene, una
delle meno capite e messe in pratica.
Molto spesso il nostro atteggiamento è quello del bue
che da del cornuto all'asino.
De vitiis hominum
Peras imposuit Iuppiter nobis duas:
Propriis repletam vitiis post tergum dedit,
a lienis ante pectus suspendit gravem.
Hac re videre nostra mala non possumus;
alii simul delinquunt, censores sumus.
I vizi umani
Giove ha caricato ognuno di noi con due bisacce. Collocò
sulla schiena quella piena dei nostri vizi e sul petto sospesa
quella carica dei vizi degli altri. Per questo motivo non possiamo
vedere i nostri difetti ma non appena gli altri sbagliano siamo
censori.
11 L'ingratitudine è uno dei vizi più
diffusi tra il genere umano ma, come recita una frase attribuita
a Macrobio, "Deos iratos laneos pedes habere"
cioè, gli dei irati hanno i piedi protetti dalla lana
e non si fanno sentire quando il loro castigo si abbatte sul
colpevole. Equivale al nostro detto:"Dio non paga il
sabato". Il castigo può essere procrastinato
ma quando meno lo si aspetta arriva.
Fur et lucerna
Lucernam fur accendit ex ara Iovis
ipsumque compilavit ad lumen suum.
Onustus qui sacrilegio cum discederet,
repente vocem sancta misit Religio:
"Malorum quamvis ista fuerint munera
mihique invisa, ut non offendar surripi,
tamen, sceleste, spiritu culpam lues,
olim cum ascriptus venerit poenae dies.
Sed ne ignis noster facinori praeluceat,
per quem verendos excolit pietas deos,
veto esse tale luminis commercium".
Itaque hodie nec lucernam de flamma deum
nec de lucerna fas est accendi sacrum.
Quot res contineat hoc argumentum utiles,
non explicabit alius quam qui repperit.
Significat primo saepe quos ipse alueris,
tibi inveniri maxime contrarios;
secundo ostendit scelera non ira deum,
fatorum dicto sed puniri tempore;
novissime interdicit ne cum malefico
usum bonus consociet ullius rei.
Il ladro e la lanterna
Un ladro accese la lanterna con il fuoco preso dall'ara di Giove
e con la luce fornita dal dio ne saccheggiò il tempio.
Mentre si allontanava carico delle sacre spoglie ad un tratto
il simulacro iniziò a parlare:"Per quanto questi
oggetti fossero doni di uomini perversi e quindi a me sgraditi
a tal punto che non mi ritengo offeso se li hai rubati, tuttavia,
scellerato, pagherai con la vita il sacrilegio, quando arriverà
il giorno stabilito per la pena. Affinché poi il nostro
fuoco, con cui gli uomini pii venerano gli dei, non faccia più
luce agli scellerati proibisco questo scambio di luci".
Perciò da oggi non è permesso accendere una lanterna
dalla fiamma degli dei né dalla lucerna accendere il
fuoco per i sacrifici. Nessun altro potrà spiegare quanti
insegnamenti utili contenga questo racconto tranne l'autore
dello stesso. Significa, come prima cosa che, sovente, scopri
esserti acerrimi nemici proprio quelli che tu hai allevato,
poi dimostra che i delitti non sono puniti in un eccesso di
ira degli dei ma nel momento assegnato dal destino e, per ultimo,
vuole evitare alll'onesto di avere, in comune con il disonesto,
rapporti di affari .
Malas esse divitias
Opes invisae merito sunt forti viro,
quia dives arca veram laudem intercipit.
Caelo receptus propter virtutem Hercules
cum gratulantes persalutasset deos,
veniente Pluto, qui Fortunae est filius,
avertit oculos. Causam quaesivit pater.
"Odi" inquit "illum, quia malis amicus est
simulque obiecto cuncta corrumpit lucro".
Le molte ricchezze sono dannose
E' a ragione che l'uomo virtuoso disprezza le ricchezze perchè
uno scrigno ben pieno non porta alcun vero merito. Quando, per
il suo valore, Ercole fu ammesso in cielo salutò gli
dei che si congratulavano con lui ma, come vide arrivare Pluto
(dio della ricchezza) figlio della dea Fortuna, volse lo sguardo
altrove. Al padre, che gliene chiedeva il motivo, rispose:"Lo
disprezzo perchè è amico dei malvagi e al tempo
stesso corrompe ogni cosa con la lusinga del guadagno.
Simius tiramnus
"Utilius homini nil est quam recte loqui."
Probanda cunctis est quidem sententia;
sed ad perniciem solet agi sinceritas
ubi veritate plus valet mendacium.
Duo homines, unus fallax et alter verax,
iter simul agebant. Et cum ambularent,
venerunt in provinciam simiarum.
Quos ut vidit una ex multitudine simiarum,
ipse qui prior esse videbatur, iussit eos teneri,
ut interrogaret quid de illo homines dicerent.
Iussitque omnes sibi similes adstare ante se
ordine longo, dextra laevaque, et sibi sedile parari;
sicut viderat imperatorem aliquando,
taliter sibi adstare fecit. Iubentur homines adduci in medio.
Ait maior: "Quis sum ego?" Fallax dixit: "Tu
es imperator."
Iterum interrogat: "Et isti quos vides ante me stare?"
Respondit: "Hi sunt comites tui, primicerii,
campiductores, militares officii."
Et quia mendacio laudatus est cum turba sua,
iubet illum munerari, et quia adulatus est, omnes illos fefellit.
Verax autem apud se cogitabat: "Si iste mendax,
qui omnia mentitur, sic accepit, si verum dixero,
magis munerabor." Tunc ait maior simia:
"Dic et tu, quis sum ego, et hi quos ante me vides?"
At ille, qui semper veritatem amabat et loqui consueverat, respondit:
"Tu es vere simia, et omnes hi similes tui simiae semper
sunt."
Iubetur continuo lacerari dentibus et unguibus, eo quod verum
dixisset.
Malis hominibus, qui fallaciam et malitiam amant,
honestatem et veritatem lacerant.
Lo scimmione tiranno
"Non c'è nulla di più utile all'uomo che dire la verità".
La massima dovrebbe essere accettata da tutti, ma poichè
il falso ha più valore del vero la sincerità spesso porta
alla rovina . Due uomini, uno bugiardo e l'altro sincero, viaggiavano
insieme. Camminando giunsero nel paese delle scimmie. Non appena
uno scimmione del branco, che si era autoeletto capo supremo
li vide, ordinò di arrestarli per interrogarli su cosa ne pensassero
gli uomini di lui. Ordinò che tutti quelli simili a lui gli
si schierassero davanti a destra e a sinistra in singola fila
e che per lui venisse preparato un trono poi, come una volta
aveva visto fare da un imperatore, pretese che il suo popolo
gli restasse schierato davanti. Ordinò che i due uomini fossero
portati al centro. Chiese il capo: "Io, chi sono?". "Tu sei
l'imperatore", rispose il bugiardo. Nuovamente chiede: "E questi
che vedi in piedi davanti a me?". "Questi sono i tuoi compagni
"risponde" i notabili, i comandanti in campo, gli
ufficiali ".
Poichè sia lui che i suoi sudditi, pur con una menzogna,
erano stati ritenuti degni di encomio ordina che il mentitore
venga premiato soprattutto considerando che l'averlo adulato
era servito ad ingannare il popolo delle scimmie. L'uomo sincero,
frattanto, diceva tra sé e sé: "Se questo bugiardo, che mente
su tutto, ha avuto simile trattamento, io, dicendo la verità
non immagino neppure cosa riceverò!". Mentre così rifletteva
la scimmia elettasi capo chiede: "Dimmi anche tu chi sono io
e chi sono quelli che vedi davanti a me?". Costui, che amava
la verità e era abituato a dire sempre il vero, rispose: "Tu
sei solo una scimmia, e tutti questi simili a te pure loro sono
scimmie ". Immediatamente si ordina di farlo a pezzi con
i denti e con le unghie, perché aveva detto la verità. Coloro
che apprezzano l'inganno e l'astuzia negli uomini disonesti
offendono profondamente quelli onesti ed abituati a dire la
verità.
De leone regnante
Tacere tormentum, poenast loqui.
Cum se ferarum regem fecisset leo,
et aequitatis vellet famam consequi,
a pristina deflexit consuetudine,
atque inter illas tenui contentus cibo
sancta incorrupta iura reddebat fide.
Postquam labare coepit paenitentia,
et mutare non posset naturam,
coepit aliquos ducere in secretum et fallacia
quaerere si ei os puteret. Illos qui dicebant
"putet," et qui dicebant "non putet," omnes
tamen laniabat, ita ut saturaretur sanguine.
Cum multis hoc fecisset, postea simium
interrogabat si putorem haberet in ore.
Ille quasi cinnamomum dixit fragrare et
quasi deorum altaria. Leo erubuit laudatorem,
sed, ut deciperet, mutavit fidem et quaesivit
fraudem, atque languere se simulabat.
Continuo venerunt medici; qui, ut venas
consideraverunt pulsum sanum ut viderunt,
suaserunt ei sumere cibum aliquem qui
levis esset et tolleret fastidium pro digestione,
ut regibus omnia licent. "Ignota est" inquit
"mihi caro simii; vellem illam probare".
Ut est locutus, statim necatur beniloquus
simius, ut eius carnem cito escam sumeret.
Una enim est poena loquentis et non loquentis.
Il leone che regnava
Quando tacere è un tormento e parlare una pena.
Un leone autonominatosi re degli animali, volendo conseguire
fama di giusto, abbandonò le vecchie abitudini e in mezzo
a loro, accontentandosi di poco cibo, amministrava la sacra
giustizia con lealtà integerrima. Ma poi questo suo ripensamento
iniziò a tentennare e non potendo cambiare il suo istinto,
cominciò a chiamare in disparte gli animali ad uno ad uno
e chieder loro, con l'inganno, se gli puzzasse la bocca. Sia
che quelli che rispondessero "Sì ! puzza"
sia che rispondessere "No! non puzza" li sbranava
per saziarsi con la loro carne. Dopo essersi comportato così
con molti di loro per ultimo chiese alla scimmia se la sua
bocca puzzasse. Quella rispose che profumava di cinnamomo
anzi che profumava quasi come gli altari degli dei. Allora
il leone si vergognò (di far del male a) chi lo lodava ma,
per poter continuare nella truffa , mutò strategia,
studiò un nuovo inganno e si finse malato. I medici
prontamente intervennero e, dopo avergli tastato il polso
e avendolo trovato in buona salute lo persuasero ad assumere
un tipo di cibo leggero e facilmente digeribile, dato che
ai re tutto è permesso. "Non conosco", disse il leone "la
carne di scimmia; vorrei proprio provarla ". Non aveva ancora
terminato di parlare che la scimmia, così abile nel far discorsi,
venne uccisa affinchè il re potesse cibarsi della sua
carne.
Per chi parla e per chi sta zitto la pena è sempre
la medesima.
Prometheus
A fictione veretri linguam mulieris.
Affinitatem traxit inde obscenitas.
Rogavit alter, tribadas et molles mares
Quae ratio procreasset. Exposuit senex:
"Idem Prometheus, auctor vulgi fictilis
qui simul offendit ad fortunam frangitur,
naturae partis veste quas celat pudor,
cum separatim toto finxisset die,
aptare mox ut posset corporibus suis,
ad cenam est invitatus subito a Libero.
Ubi irrigatus multo venas nectare,
Sero domum est reversus titubanti pede.
Tum semisomno corde et errore ebrio
Applicuit virginale generi masculo
Et masculina membra applicuit feminis.
Ita nunc libido pravo fruitur gaudio".
Prometeo
Ha plasmato la lingua della donna a immagine del pene. Da qui
la somiglianza oscena.
Un altro chiese per quale ragione avesse creato le lesbiche
e gli invertiti e il vecchio spiegò: "Fu Prometeo,
il creatore di noi fragile gente
d'argilla che quando si scontra con la sorte va in pezzi che,
dopo aver plasmato per tutto il giorno, tenendole ben divise
l'una dall'altra, quelle parti anatomiche che il pudore nasconde
col vestito per adattarle poi ai relativi corpi, fu invitato,
senza preavviso, a cena da Bacco. Dove irrigate le vene di abbondante
buon vino rincasò tardi e malfermo sulle gambe.
A questo punto, mezzo addormentato ed ubriaco, applicò
ai maschi quella parte che è propria delle donne mentre
a queste ultime applicò il membro maschile. Così
ora la libidine ne trae un piacere distorto.
De capris barbatis
Barbam capellae cum impetrassent ab Iove,
hirci maerentes indignari coeperunt
quod dignitatem feminae aequassent suam.
"Sinite" inquit "illas gloria vana frui
et usurpare vestri ornatum muneris,
pares dum non sint vestrae fortitudinis".
Hoc argumentum monet ut sustineas tibi
habitu esse similes qui sint virtute impares.
Le capre con la barba
Avendo le capre ottenuta la barba da Giove i capri scontenti
presero ad indignarsi poichè le femmine ora eguagliavano
la loro dignità. Rispose Giove: "Purchè non
vi siano uguali nella forza lasciate che godino di questa inutile
gloria appropriandosi di quella che è una vostra prerogativa".
Questa favola insegna ad accettare che siano simili a te nell'aspetto
quelli che sono diversi per valore.
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