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Fabularum Phaedri liber quartus
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  Libro quarto delle favole di Fedro
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17    
De fortunis hominum
Cum de fortunis quidam quereretur suis,
Aesopus finxit consolandi gratia:
Vexata saevis navis tempestatibus,
inter vectorum lacrimas et mortis metum
faciem ad serenam subito ut mutatur dies,
ferri secundis tuta coepit flatibus
nimiaque nautas hilaritate extollere.
Factus periclis tum gubernator sophus:
"Parce gaudere oportet et sensim queri".
Totam aeque vitam miscet dolor et gaudium".

I dolori e le gioie nella vita umana
Per un tale che si lamentava della sua sorte Esopo per consolarlo inventò
questa favola: Una nave dopo essere stata in balia dei violenti marosi tra i pianti e la paura di morire dei passeggeri, tosto che il tempo si mise al bello tornò sicura ad essere sospinta dai venti favorevoli risvegliando in modo eccessivo l'ottimismo dei naviganti. Il timoniere, reso saggio dai passati pericoli disse:"Occorre gioire con moderazione e lamentarsi senza disperarsi". Il dolore e la gioia si alternano equamente per tutta la vita.

18
 
Serpens misericordi nociva
Qui fert malis auxilium post tempus dolet.
Gelu rigentem quidam colubram sustulit
sinuque fovit contra se ipse misericors:
namque ut refecta est necuit hominem protinus.
Hanc alia cum rogaret causam facinoris,
respondit: "Ne quis discat prodesse improbis".
Ingratitudine del serpente
Chi aiuta i malvagi dopo un certo tempo se ne pente. Un uomo raccolse un serpente intirizzito per il gelo e pietoso se lo mise sul seno con suo danno: e infatti non appena si riprese immediatamente uccise l'uomo. Avendo un'altra serpe chiesto il motivo di questo delitto rispose:"Perchè ognuno impari a non fidarsi dei malvagi".
19    
Canes legatos miserunt ad Iovem
Canes legatos olim misere ad Iovem
melioris vitae tempus oratum suae,
ut sese eriperet hominum contumeliis,
furfuribus sibi consparsum quod panem darent
fimoque turpi maximam explerent famem.
Profecti sunt legati non celeri pede,
dum naribus scrutantur escam in stercore.
Citati non respondent, vix tandem invenit
eos Mercurius et turbatos attrahit.
Tum vero vultum magni ut viderunt Iovis,
totam timentes concacarunt regiam;
propulsi vero fustibus vadunt foras.
Vetat dimitti magnus illos Iuppiter.
Mirati sibi legatos non revertier,
turpe aestimantes aliquid commissum a suis,
post aliquod tempus alios ascribi iubent.
Rumor legatos superiores prodidit.
Timentes rursus aliquid ne simile accidat,
odore canibus anum, sed multo, replent.
Mandata dantur et dimittuntur statim.
Adeunt. Rogantes aditum continuo impetrant.
Consedit genitor tum deorum maximus
quassatque fulmen: tremere coepere omnia.
Canes, confusus subito quod fuerat fragor,
repente odorem mixtum cum merdis cacant.
Reclamant omnes vindicandam iniuriam.
Sic est locutus ante poenam Iuppiter:
"Legatos non est regis non dimittere,
nec est difficile poenas culpae imponere;
sed hoc feretis pro iudicio praemium:
non veto dimitti, verum cruciari fame,
ne ventrem continere non possint suum.
Illi autem qui miserunt vos tam futtiles
numquam carebunt hominis contumelia".
Ita nunc legatos exspectant et posteri
Novum et venire qui videt culum olfacit.
I cani inviarono messaggeri a Giove
Un giorno i cani inviarono una ambasciata a Giove per richiedere una condizione migliore per la loro vita e sottrarli dagli oltraggiosi trattamenti degli uomini che davano loro pane di crusca e li costringevano a sfamarsi con del disgustoso letame. Gli ambasciatori partirono senza alcuna fretta mentre con il fiuto cercano cibo nei letamai. Invitati a manifestare le loro richieste non si presentano, a fatica finalmente li trova Mercurio che li accompagna sbigottiti. Come quelli videro il volto del grande Giove per la paura se la fecero addosso sporcando tutta la reggia; presi a legnate vengono cacciati fuori e il grande Giove vieta che vengano rimandati a casa. I cani, meravigliati perché gli ambasciatori non tornavano e ritenendo avessero compiuto qualche cosa di brutto, dopo un certo tempo ordinano che ne vengano scelti di nuovi. La voce che circolava aveva però già tradito i primi ambasciatori. Per evitare che nulla di simile accadesse nuovamente gli riempiono il sedere con grande quantità di profumo. Affidano il mandato e li accomiatano. Partono. Subito chiedono udienza. Il padre di tutti gli dei siede sul suo trono e scaglia un fulmine: tutto trema. I cani , impauriti per l'improvviso fracasso, se la fanno addosso lasciando andare il profumo mescolato agli escrementi. Tutti reclamano giustizia per l'offesa subita. Ma prima di emettere il verdetto Giove così parlò:"Non è da re non rimandare gli ambasciatori, né mi sarà difficile punire questa offesa; vi faccio questo regalo come punizione: Non vieto che vi lascino partire, ma, per meglio controllare il vostro intestino d'ora in poi nessun di voi riuscirà mai a saziarsi. A quelli poi, che inviarono voi, incapaci di trattenere i vostri escrementi, mai mancheranno gli oltraggi dell'uomo". Ecco perchè i loro discendenti, ancor oggi in attesa degli ambasciatori, come vedono arrivare un cane nuovo gli annusano il sedere.
20    
Vulpis et draco
Vulpes, cubile fodiens, dum terram eruit
agitque pluris altius cuniculos,
pervenit ad draconis speluncam intimam,
custodiebat qui thesauros abditos.
Hunc simul aspexit: "Oro ut imprudentiae
des primum veniam; deinde si pulchre vides,
quam non conveniens aurum sit vitae meae,
respondeas clementer. Quem fructum capis
hoc ex labore, quodve tantum est praemium
ut careas somno et aevum in tenebris exigas?"
"Nullum" inquit ille "verum hoc ab summo mihi
Iove attributum est". "Ergo nec sumis tibi
nec ulli donas quicquam?" "Sic fatis placet".
"Nolo irascaris, libere si dixero:
Dis est iratis natus, qui est similis tibi".
Abiturus illuc, quo priores abierunt,
quid mente caeca miserum torques spiritum?
Tibi dico, avare, gaudium heredis tui,
qui ture superos, ipsum te fraudas cibo,
qui tristis audis musicum citharae sonum,
quem tibiarum macerat iucunditas,
obsoniorum pretia cui gemitum exprimunt,
qui dum quadrantes aggeras patrimonio
caelum fatigas sordido periurio,
qui circumcidis omnem impensam funeri
Libitina ne quid de tuo faciat lucri.
La volpe e il drago
Una volpe, scavando una tana, mentre toglieva la terra e preparava gallerie sotteranee piuttosto profonde giunse nella remota spelonca di un drago che custodiva dei tesori nascosti.
Non appena la volpe lo vide disse: "Ti prego di perdonare innanzitutto la mia imprudenza e, poichè ben vedi quanto sia l'oro poco confacente al mio tenore di vita, di rispondermi senza irritarti. Cosa ci guadagni da tutta questa fatica, quale ricompensa è così grande per privarti del sonno e trascorrere la vita nel buio più assoluto?".
"Nessun premio" rispose il drago "ma questo incarico mi è stato assegnato dal grande Giove".
"Quindi per le tue necessità non prendi nulla e non dai nulla a nessuno?".
"Esatto! Così vuole il fato".
"Non voglio che ti arrabbi ma ti dirò, in tutta franchezza, che chiunque si comporta come te non può che essere nato sotto la maledizione degli dei".
Perché tu che sei destinato ad andare là dove già sono andati quelli che ti hanno preceduto, senza riflettere, rendi più triste la già misera vita? Parlo con te avaro, tu che fai la gioia del tuo erede, tu che rifiuti l'incenso agli dei e il cibo a te stesso, che ascolti triste il melodioso suono della lira, tu che la dolce melodia del flauto tormenta e a cui il costo degli alimenti causano lamenti, tu che pur di aumentare anche solo di qualche quattrino il tuo patrimonio stanchi gli dei con sordidi spergiuri e che mercanteggi sul costo del tuo funerale per evitare che Libitina (la dea dei funerali) si arricchisca con i tuoi risparmi.
21    
Phaedrus
Quid iudicare cogitet livor modo,
licet dissimulet, pulchre tamen intellego.
Quicquid putabit esse dignum memoria,
Aesopi dicet; si quid minus arriserit,
a me contendet fictum quovis pignore.
Quem volo refelli iam nunc responso meo:
Sive hoc ineptum sive laudandum est opus,
invenit ille, nostra perfecit manus.
Sed exsequamur coepti propositum ordinem.
Fedro
I critici invidiosi che intendono nascondere la loro invidia nei miei confronti li conosco molto bene. Quanto è giudicato degno di essere tramandato sostengono sia di Esopo; se qualcosa invece riuscirà meno piacevole scommetterà qualsiasi cosa che ne sia io l'autore. Io voglio fin d'ora confutare ciò e dirgli." Questo genere poetico, che sia sciocco o degno di lode lui lo ha inventato e la nostra fatica lo ha perfezionato. Ma ora ripigliamo la serie di favole iniziata".
22    
De Simonide
Homo doctus in se semper divitias habet.
Simonides, qui scripsit egregium melos,
quo paupertatem sustineret facilius,
circum ire coepit urbes Asiae nobiles,
mercede accepta laudem victorum canens.
Hoc genere quaestus postquam locuples factus est,
redire in patriam voluit cursu pelagio;
erat autem, ut aiunt, natus in Cia insula:
Ascendit navem, quam tempestas horrida
simul et vetustas medio dissolvit mari.
Hi zonas, illi res pretiosas colligunt,
subsidium vitae. Quidam curiosior:
"Simonide, tu ex opibus nil sumis tuis?"
"Mecum" inquit "mea sunt cuncta". Tunc pauci enatant,
quia plures onere degravati perierant.
Praedones adsunt, rapiunt, quod quisque extulit,
nudos relinquunt. Forte Clazomenae prope
antiqua fuit urbs, quam petierunt naufragi.
Hic litterarum quidam studio deditus,
Simonidis qui saepe versus legerat
eratque absentis admirator maximus,
sermone ab ipso cognitum cupidissime
ad se recepit; veste, nummis, familia
hominem exornavit. Ceteri tabulam suam
portant rogantes victum. Quos casu obvios
Simonides ut vidit: "Dixi, inquit, mea
mecum esse cuncta; vos quod rapuistis perit".
Simonide
L'uomo istruito ha sempre in sé la sorgente d'ogni ricchezza. Simonide, autore di splendide liriche, per sopportare più agevolmente la sua povertà prese a girare per le più illustri città dell'Asia cantando dietro compenso le imprese degli atleti vincitori. Arricchitosi con questo modo di far quattrini volle ritornare in patria per mare; si dice fosse nato nell'isola di Ceo: si imbarca su una nave che una orribile tempesta e il fatto di essere già decrepita sfascia in mare aperto. Alcuni raccolgono le cinture con dentro il denaro, altri gli oggetti preziosi che sono il sostegno per campare. "Tu Simonide" chiede uno più curioso degli altri, "tu non prendi nulla dei tuoi averi?". "Le mie ricchezze sono tutte con me!"rispose quello. Pochi di loro riescono a salvarsi a nuoto poiché i più erano morti per il troppo peso tra le onde. Compaiono i predoni che rapinano ciò che ognuno aveva salvato e li lasciano nudi. Fortunatamente vi era non lontano l'antica città di Clazomene verso la quale si diressero i naufraghi. Qui un tale, dedito agli studi letterari, che spesso aveva letto i versi di Simonide ed era grande ammiratore di lui pur senza averlo mai visto, riconosciutolo da come parlava con grande gioia lo volle nella sua casa; mise a disposizione del nostro uomo vestiti, danari e servi. Tutti gli altri vanno mendicando un tozzo di pane mostrando la tavoletta*. Incontrandoli un giorno per strada Simonide, come li vide, disse: "Io vi avevo risposto che tutti i miei averi erano con me; voi avete perduto quanto avevate afferrato in fretta e furia.
*
"Tabulae votivae" (=Piccoli quadri rappresentanti il naufragio da cui erano scampati. Nate per essere appese alle pareti del tempio di Nettuno come ringraziamento per lo scampato pericolo spesso erano portate in giro per destare la compassione dei passanti).
23    
Mons parturiens
Mons parturibat, gemitus immanes ciens,
eratque in terris maxima exspectatio.
At ille murem peperit. Hoc scriptum est tibi,
qui, magna cum minaris, extricas nihil.
La montagna che partorisce
Una montagna stava partorendo emettendo grida immani e c'era nel mondo una grande attesa.
Alla fine partorì un topo: Questa favola è scritta per deridere te che prometti mari e monti ma non combini nulla.
24    
Formica et musca
(Nihil agere quod non prosit fabella admonet).
Formica et musca contendebant acriter
quae pluris esset. Musca sic coepit prior:
"Conferre nostris tu potes te laudibus?
Moror inter aras, templa perlustro omnia,
ubi immolatur, exta praegusto deum.
In capite regis sedeo cum visum est mihi,
et matronarum casta delibo oscula.
Laboro nihil atque optimis rebus fruor.
Quid horum simile tibi contingit, rustica?"
"Est gloriosus sane convictus deum,
sed illi qui invitatur, non qui invisus est.
Aras frequentas? nempe abigeris, quom venis.
Reges commemoras et matronarum oscula;
Super etiam iactas tegere quod debet pudor.
Nihil laboras: ideo, cum opus est, nil habes.
Ego granum in hiemem cum studiose congero,
te circa murum pasci video stercore.
Aestate me lacessis; cum bruma est siles.
Mori contractam cum te cogunt frigora,
me copiosa recipit incolumem domus.
Satis profecto rettudi superbiam".
Fabella talis hominum discernit notas
eorum qui se falsis ornant laudibus,
et quorum virtus exhibet solidum decus.
La formica e la mosca
(La favoletta esorta a non fare nulla che non torni utile). La formica e la mosca discutevano accanitamente su chi di loro due valesse di più. Iniziò per prima la mosca dicendo: "Puoi tu paragonarti alla mia nobile condizione di vita? Vivo tra gli altari, volo qua e là per tutti i templi; quando si fanno sacrifici, sono la prima ad assaggiare le viscere offerte agli dei. Mi poso sulla fronte del re e quando ne ho voglia mi godo i casti baci che do alle matrone. Non faccio nulla eppure godo delle cose migliori. Cosa di simile a tutto questo capita mai a te, rozza campagnola?".
"Certo il banchetto con gli dèi è motivo di vanto, ma come invitato, non come parassita. Dici di frequentare gli altari? Certamente, ma sei cacciata non appena vi giungi. Parli dei re e dei baci alle matrone; meni vanto anche di ciò che per pudore dovresti nascondere. Non lavori affatto: per questo non hai nulla quando sei nella necessità. Mentre ammucchio con cura il grano per l'inverno, ti vedo lungo i muri nutrirti di sterco. In estate mi deridi, con l'inverno, stai zitta. Quando il gelo ti intirizzisce muori rattrappita, mentre io sana e salva sono accolta in una buca ben provvista di cibo. Ora basta, di certo ho rintuzzato la tua boria". La favoletta evidenzia il carattere di due tipi di individui: coloro che si vantano immeritatamente e coloro il cui valore costituisce una fondata ragione di gloria.
25    
Poeta
Quantum valerent inter homines litterae,
dixi superius: quantus nunc illis honos
a superis sit tributus tradam memoriae.
Simonides idem ille de quo rettuli,
victori laudem cuidam pyctae ut scriberet
certo conduxit pretio, secretum petit.
Exigua cum frenaret materia impetum,
usus poeta moris est licentia
atque interposuit gemina Ledae sidera,
auctoritatem similis referens gloriae.
Opus approbavit; sed mercedis tertiam
accepit partem. Cum reliquum posceret:
"Illi" inquit "reddent quorum sunt laudis duae.
Verum ut ne irate te dimissum censeas,
ad cenam mihi promitte; cognatos volo
hodie invitare, quorum es in numero mihi".
Fraudatus quamvis et dolens iniuria,
ne male dissimulans gratiam corrumperet,
promisit. Rediit hora dicta, recubuit.
Splendebat hilare poculis convivium,
magno adparatu laeta resonabat domus,
repente duo cum iuvenes sparsi pulvere,
sudore multo diffluentes corpore,
humanam supra formam, cuidam servulo
mandant ut ad se provocet Simonidem;
illius interesse, ne faciat moram.
Homo perturbatus excitat Simonidem.
Unum promorat vix pedem triclinio,
ruina camerae subito oppressit ceteros;
nec ulli iuvenes sunt reperti ad ianuam.
Ut est vulgatus ordo narratae rei,
omnes scierunt numinum praesentiam
vati dedisse vitam mercedis loco.
Simonide e l'atleta vittorioso
Quanto valga la cultura per gli uomini l'ho scritto precedentemente: spiegherò ora quale onore sia attribuito alle lettere dagli dei. Simonide, lo stesso di cui ho già avuto occasione di parlare, dopo aver convenuto una certa cifra per scrivere un epinicio in onore di un pugile si ritirò in un luogo appartato. Poichè sull'argomento c'era ben poco da raccontare , Simonide si servì della licenza in uso presso i poeti e tirò in ballo i due astri figli gemelli di Leda per fare un paragone con una simile gloria. Simonide fece un lavoro degno di encomio; ma ricevette solo un terzo di quanto pattuito. Avendo richiesto il saldo si sentì rispondere:"Chiedilo a quelli che figurano nelle altre due parti dell'opera. Comunque, perché tu non ti senta congedato con ira promettimi di venire a cena; oggi voglio invitare i miei parenti e ti considero uno di loro". Pur sentendosi defraudato e crucciato per l'ingiustizia ricevuta, per non perdere le grazie del pugile, facendo buon viso a cattivo gioco, promise che sarebbe andato. Ritornò all'ora stabilita e s'adagiò sul letto. Il banchetto era uno splendore gioioso di coppe e la casa, sontuosamente addobbata risuonava di canti di gioia quando, all'improvviso, due giovani impolverati, madidi di sudore e belli di aspetto più di ogni essere umano, incaricano un servo di dire a Simonide di uscire perché è atteso da loro e che, nel suo interesse, lo faccia anche in fretta. Lo schiavo turbato fa uscire Simonide. Ha appena messo un piede fuori dalla sala da pranzo che l'improvviso crollo del soffitto schiacciò tutti gli altri; quanto ai due giovani non se ne è trovata traccia presso la porta. Non appena si è conosciuto l'accaduto per filo e per segno, com'è stato da noi raccontato, tutti compresero che la presenza dei due dei aveva salvata la vita al poeta in cambio della ricompensa non ricevuta.
   
Epilogus: Poeta ad Particulonem
Adhuc supersunt multa quae possim loqui,
et copiosa abundat rerum varietas;
sed temperatae suaves sunt argutiae,
immodicae offendunt. Quare, vir sanctissime,
Particulo, chartis nomen victurum meis
latinis dum manebit pretium litteris,
si non ingenium, certe brevitatem approba,
quae commendari tanto debet iustius
quanto poetae sunt molesti validius.
Epilogo: Il poeta all'amico Particulone
Mi resterebbero ancora molte favole da raccontare e la notevole varietà della materia abbonderebbe ma le facezie sono gradevoli se moderate e stancano se eccessive. Perciò, caro Particulone, uomo impareggiabile, il cui nome vivrà nei miei scritti finchè le lettere latine avranno valore se non per il talento almeno per la concisione, qualità tanto più apprezzabile essendo solitamente i poeti esageratamente più noiosi.
   
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Ultimo aggiornamento: 01.10.2015
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