Sutor, ne supra crepidam...!
Iam proximus ardet Ucalegon:
Brucia già il vicino palazzo di Ucalegonte. (Virgilio,
Eneide, Il, 311).
È il grido di Enea quando, svegliandosi di soprassalto, vede
Troia in un mare di fuoco e le fiamme già vicine alla sua
casa. La frase viene a proposito quando si parla d’un pericolo
grave, imminente.
Iam victi vicimus:
Già sconfitti, vinciamo! (Plauto - Casina).
Finale di Champions League Milan Liverpool ad Istanbul 25
maggio 2005. Primo tempo , il Milan vince 3 a 0. Secondo tempo
il Milan pareggia 3 a 3. Ai rigori il Liverpool si aggiudica
la finale: chissà se i giocatori avranno esclamato:
"Iam victi vicimus"
Ibi deficit orbis:
Qui termina il mondo.
Per gli antichi il mondo finiva con le "Colonne d'Ercole"
nome dato dagli antichi greci ai due promontori che delimitano
lo stretto di Gibilterra. Secondo la leggenda erano due colonne
che Ercole stesso, in ricordo delle sue imprese, aveva eretto
d'ambo le parti dello Stretto, a Ceuta e, sull'opposta sponda,
nei pressi di Gibilterra per indicare il limite invalicabile
delle terre allora conosciute.
Ibidem:
Nello stesso posto.
Si usa nelle citazioni bibliografiche per non ripetere un
riferimento già fatto.
Detto segnalato e commentato da
Carlo T.
Ibis redibis numquam peribis:
Andrai tornerai non morirai.
Oscuro responso della Sibilla citato in tutte le scuole. In
funzione infatti di dove si pone la virgola il senso cambia
da:"andrai, tornerai, non morirai" in: "andrai,
non tornerai, morirai". Come i nostri attuali politici
la Sibilla poteva dimostrare di avere sempre raccontato la
verità o comunque di essere stata fraintesa.
Il famoso detto "per un punto Martin perse la cappa"
prende origine da un errore di punteggiatura e verrà
spiegato al detto: Porta, patens esto, nulli claudaris
honesto! Ricordiamo che, come segnalatoci, relativamente
a questo detto esiste anche la versione: "Ibis redibis
non morieris in bello". In funzione della virgola
possiamo tradurre "andrai, tornerai, non morirai in guerra"
oppure "andrai, non tornerai, morirai in guerra".
Segnalazione fatta da Massimo
S.
I, decus, i, nostrum: melioribus utere fatis:
Va nostro orgoglio, va: avvalendoti dei migliori destini (Virgilio
Eneide Libro VI v 546)
Sono le parole che Deifobo, figlio di Priamo, rivolge ad Enea
incontrandolo nell'Ade. Nessun popolo come i romani ha saputo
essere grande soprattutto nelle sconfitte. Basta ricordare
gli oltre trecentomila soldati caduti e le centinaia di cittadine
distrutte durante le due guerre puniche. Nonostante tutto
questo, quasi fossero veramente consci del compito loro affidato,
hanno lasciato nella storia un'impronta incancellabile.
Ignorantia legis non excusat:
La non conoscenza della legge non scusa.
Quando gli antichi romani coniarono questo detto certamente
non pensavano che la "Patria del Diritto" sarebbe
diventata la... "Patria del... pastrocchio" con
una infinità di leggi, leggine, modifiche, rettifiche,
aggiornamenti, spiegazioni, precisazioni in una giungla impossibile
da ricordare e tale da farci rimpiangere le "tante
grida" di manzoniana memoria.
Ignoti nulla cupido:
Non si desidera ciò che non si conosce. (Ovidio,
Ars amatoria, III, 397).
In altre parole: non si desiderano che le cose che hanno fatto
impressione sui nostri sensi. E' il principio su cui si basa
il consumismo.
Ignoto militi:
Al soldato sconosciuto.
È la nota epigrafe incisa sulla tomba del Milite ignoto, simbolo
dei 650.000 caduti italiani nella prima guerra mondiale. La
salma di un combattente sconosciuto, nel novembre del 1921,
fu trasportata da Aquileja a Roma e tumulata nel monumento
a Vittorio Emanuele Il, sotto l’ Altare della Patria. L'incarico
della scelta l'ebbe una madre, la triestina Maria Bergamas,
il cui figlio Antonio disertando dall'esercito austriaco si
arruolò volontario fra le truppe italiane e morì
in combattimento senza che il suo corpo potesse essere identificato.
Iliacos intra muros peccatur et extra:
Si pecca sia entro le mura di Troia che fuori di esse.
(Orazio, Epist., I, 2).
Cioè si pecca da tutti, e in tutti i luoghi, perchè tutti
siamo impastati con la creta di Adamo. Per questo Ovidio con
una punta d’ironia afferma che se Giove dovesse scagliare
i suoi fulmini ogni volta che uno pecca, presto ne rimarrebbe
privo.
Illic stetimus et flevimus, cum recordaremur Sion:
Là ci sedemmo e piangemmo ricordando Sion. (A.Test.
Salmo 136 v.1)
E' il lamento dell'esule che ricorda la patria lontana. Il
versetto tratto dal salmo che inizia "Super flumina
Babylonis hic stetimus et flevimus... " rappresenta
un momento di intenso lirismo della poesia ebraica tale da
ispirare musicisti quali Pier Luigi da Palestrina e Giuseppe
Verdi. Sulle note di "Va pensiero", che
segnano un momento epico di intensa commozione Giuseppe Verdi
presenterà il dramma di questo popolo come tragedia
corale di scontro tra popoli e classi sociali.
Illis revertor hostis qui me laeserunt:
Sono nemica solo di coloro che mi hanno recato offesa
(Fedro)
Vedi anche "Solet a despectis par referri gratia".
Si tratta della conclusione della favola: "La Pantera
e i pastori". Caduta in una fossa ed impossibilitata
a difendersi da alcuni contadini viene colpita con pietre
e da altri rifocillata. Messasi in salvo durante la notte,
nei giorni seguenti uccide i suoi lapidatori risparmiando
invece quanti avevano avuto compassione, dicendo loro :"Memini
qui me saxo petierit, qui panem dederit: vos timere absistite;
illis revertor hostis, qui me laeserunt".
(=Riconosco chi mi ha preso a sassate e chi mi ha
rifocillato: voi non abbiate timore, sono nemica solo di coloro
che mi hanno recato offesa).
Immodica ira gignit insaniam:
Un'ira esagerata genera pazzia (Seneca Epistulae Morales ad
Lucilium Libro II, XVIII, v. 14).
La stessa espressione la troviamo in Fedro come morale
della favola di Esopo "il cavallo ed il cinghiale".
Il cavallo, a cui un cinghiale aveva intorbidito l'acqua dello
stagno, irato chiede aiuto all'uomo per vendicare l'offesa.
Lo prende in groppa e lo porta allo stagno dove questi, con
una freccia, uccide il cinghiale. Tornando verso casa l'uomo
scopre quanto possa tornargli utile il cavallo, gli mette
sella e briglie e lo assoggetta ai suoi voleri. Sconsolato
l'animale esclama: "volevo solo una piccola vendetta,
ma l'uomo non solo si è impadronito del cinghiale ma
anche della mia vita..." e Fedro conclude:"
Fabula Aesopus iracundos monet: immodica ira insaniam gignit,
insania saepe exitii est causa."(=Esopo con questa
favola da questo ammonimento:un'ira esagerata porta alla pazzia
e la pazzia è spesso causa di morte). Da uomo della
strada posso suggerire che, a corollario di questo detto,
non è sensato evirarsi per ripagare la moglie di un
tradimento.
Immota manet:
Non risulta facile dare un'interpretazione a questo
motto che campeggia sullo stemma della città dell'Aquila
da almeno 6 secoli soprattutto se lo si considera alla luce
del trigramma "PHS" a cui ancor oggi si tenta dare
una spiegazione. Cosa vogliono dire? Il motto “Immota
manet” di per sè significa “Resta
ferma, ben salda” ed alla luce dei tanti terremoti (1315
- 1349 - 1456- 1461 - 1498 - 1646 - 1702 - 1703 - 1796 - 1813
- 1958 - 2009) che hanno colpito e spesso distrutta questa
città potrebbe intendersi il desiderio e la capacità
dei suoi abitanti di risorgere dalla distruzione e dalle macerie,
ma il "PHS" resta comunque un vero mistero.
In mancanza di argomenti validi per sostenere una versione
a scapito delle altre mi limito ad elencare le varie interpretazioni
lasciando ad ognuno libertà di scelta.
"Immota Pubblica Hic Salus manet" o anche
nella versione "Immota Pubblica His Salus manet":
Resta salda a difesa del pubblico interesse.
Altri considerano il trigramma
un errore di trascrizione del noto IHS "Iesus
Hominum Salvator" (=Gesù Salvatore degli
Uomini) di san Bernardino da Siena riportato sullo stemma
per onorare il santo che in questa città morì
nel maggio del 1440 e pertanto l'interpretazione sarebbe
"Immota Per Hoc Signum manet" :Resta
salda grazie a questo segno.
(Detto segnalato da Franco C.)
Impavidum ferient ruinae:
Invano lo colpiranno le rovine. (Orazio, Odi, III, 3, 8).
Il poeta parla dell’uomo di carattere, retto e tutto d’un
pezzo, che, anche se le rovine del mondo intero gli cadessero
addosso, rimarrebbe impavido e stretto al suo dovere, alle
sue opinioni.
Impedit ira animum ne possit cernere verum:
L'ira annebbia la mente im modo di non farle più
discernere la verità (Albertanus Brixiensis, Liber
de doctrina dicenfi et tacendi pag. 4).
Albertano da Brescia (... - Brescia 1270) giudice
a Brescia, ambasciatore della città presso la Lega
Lombarda e consigliere del Podestà di Genova (1243)
attribuisce il detto al Siracide ma nonostante le ricerche
e riletture non ne ho trovato traccia.
lmperium in imperio:
Uno Stato nello Stato.
Locuzione antica per significare qualche ceto o classe di
cittadini esenti dalle leggi di uno Stato nel quale si trovano.
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