Sutor, ne supra crepidam...!
Quidlibet audendi aequa potestas:
Medesimo potere di osare (Orazio Ars poetica, v. 10).
Orazio vorrebbe concedere a poeti e pittori il diritto di
osare. "Pictoribus atque poetis; quidlibet audendi
semper fuit aequa potestas" E' pur vero che non
bisogna tarpare le ali né alla fantasia poetica né
alle innovazioni in campo pittorico però anche in questi
campi vale sempre il detto: est modus in rebus (Orazio,
Satire, I, 1, 106) Ritengo poi che certi architetti,
a giudicare da certe loro opere cervellotiche, quatti quatti,
si siano inseriti nell'elenco .
Quid novi?:
C'è qualcosa di nuovo?
Mi sembra di sentire un mio vecchio capo che ogni mattina
quando arrivavo mi chiedeva: Novità? Un giorno ho risposto:
sono arrivato in ritardo perché la metropolitana ha
bucato! Da allora non mi ha più fatto la domanda!
Quidquid delirant reges, plectuntur Achivi:
Gli errori dei re sono scontati dai greci. (Orazio, Epist.,
I, 2, 14).
In generale la storia insegna che è sempre il popolo che deve
scontare gli errori dei governanti e, in senso più generale,
sono i subalterni che fanno da capro espiatorio per gli errori
dei loro superiori.
Quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur:
Quanto viene recepito è proporzionale alla capacità
di chi recepisce
Si tratta di un detto caro alla filosofia scolastica, termine
quest'ultimo che definisce la filosofia medioevale cristiana
di indirizzo aristotelico-tomistico nel periodo compreso tra
il IX e il XV secolo.La capacità della mente di ricevere
stimoli dell'esterno ed il modo con cui questi vengono elaborati
variano da persona a persona in funzione delle personali esperienze,
dell'ambiente , dell'istruzione ricevuta e della capacità
di critica che ognuno è riuscito a sviluppare. Senza
troppi giri di parole il motto ci ricorda che la nostra mente
è come un recipiente... che più è piccolo
meno riesce a contenere (comprendere) di quanto ci
arriva dal mondo esterno.
Quidquid tentabam dicere versus erat:
Tutto ciò che tentavo di dire era in versi.
Ovidio racconta che si trovò ad essere quel brillante
poeta dell'età augustea che tutti conosciamo suo malgrado.
Il padre uomo pratico avrebbe desiderato che intraprendesse
una attività più remunerativa che non quella
del declamatore di versi. "Perfino il grande Omero"
gli diceva " è morto nella totale povertà".
Ovidio accettò il consiglio, ma quando si accorse che
anche scrivendo in modo piano il tutto era inconsciamente
messo in versi capì quale fosse il suo futuro.
Quiescendo et sedendo, anima fit sapiens et prudens:
Riposando e sedendo lo spirito si fa saggio e prudente (San
Tommaso d'Aquino De anima lib 1,8,19).
San Tommaso riferiva l'espressione alla necessità che
ha la parte spirituale del nostro essere di elevarsi attraverso
il silenzio e la meditazione. Molto meno spiritualmente diciamo
che a ritemprarci servono le tanto desiderate ferie per staccare
la spina dopo un anno di duro lavoro e poco importa se spesso
si ritorna... più stanchi di prima!!! Il detto è anche un
invito a riflettere attentamente prima di prendere decisioni
affrettate.
Quieta non movere:
Non disturbare le cose tranquille.
Simile espressione, usata spesso con il segnificato
di "Non svegliare il can che dorme", è
mutuata dal principio generale dei sistemi di common law che
così recita:"Stare decisis et non quieta movere".
In forza di tale principio il giudice è obbligato a
conformarsi alla decisione già adottata in una precedente
sentenza per analoga causa.
Qui fert malis auxilium, post tempus dolet:
Chi aiuta i malvagi, alla fine se ne pentirà. (Fedro,
Favole, Libro IV, 18, 1).
È la morale della favola del villano che riscaldò la vipera
in seno e, per ricompensa, ne fu morsicato e ucciso. V’è anche
un proverbio: "Nutri la serpe in seno, ti renderà veleno".
Qui genus iactat suum, aliena laudat:
Chi può solo esaltare la propria ascendenza,
celebra meriti di altri (Seneca, Hercules furens, 337ss.).
"Non vetera patriae iura possideo domus
ignavus heres; nobiles non sunt mihi avi nec altis inclitum
titulis genus, sed clara virtus: qui genus iactat suum, aliena
laudat" (=io non possiedo l’antico diritto
proveniente dalla casata paterna come un ignavo erede; non
ho antenati nobili né un’ascendenza famosa per
altri titoli d’onore, ma mi dà gloria il mio
valore: chi può solo esaltare la propria ascendenza,
celebra meriti altrui).
Qui gladio ferit gladio perit:
Chi di spada ferisce di spada perisce (Nuovo Testamento Mt.
26,52)
La frase viene pronunciata da Gesù quando nell'orto
del Getsemani viene catturato dai soldati inviati dai Principi
dei Sacerdoti. L'apostolo Pietro, stando a quanto riferisce
l'evangelista Giovanni (Gv. 18,13) sfodera la spada
e taglia un orecchio ad un servo del sommo sacerdote. Da questo
episodio viene la richiesta di Gesù di riporre la spada
dicendo che "Qui gladio ferit gladio perit".
Qui habet aures audiendi, audiat:
Chi ha orecchi per intendere, intenda.
Frase ripetuta in vari passi dei Vangeli e che significa doversi
approfittare dei consigli dati, cioè dover ciascuno trar profitto
per sé di cose dette in generale. In modo tanto più
prosaico possiamo anche esprimerlo con il proverbio italiano:
A buon intenditor poche parole.
Qui multum habet, plus cupit:
Chi ha tanto desidera di più (?Seneca?).
Il detto sembra di Seneca, ma non ho trovato nessun riferimento
per sostenere o negare tale paternità. Simile affermazione,
indipendentemente da chi sia stata pronunciata o scritta,
conferma una sacrosanta verità: Il povero normalmente
non ha grandi pretese e si accontenta di quel poco che ha,
mentre chi già dispone di tanto si adopera in ogni
modo per aumentare le sue ricchezze.
Detto segnalato da Alberto Di S.
Qui natus est infelix, non vitam modo tristem decurrit, verum
post obitum quoque persequitur illum dura fati miseria:
Chi è nato infelice, non solo conduce una vita grama,
ma anche dopo la morte è perseguitato dalla perversità
del suo duro destino. (Fedro, Favole, Libro IV, 1, 1-3).
Sentenza verissima che un proverbio popolare molto espressivo
traduce: "A chi è nato disgraziato, tutti i cani gli
pisciano addosso".
Qui nescit dissimulare, nescit regnare:
Chi non sa dissimulare non sa regnare.
Raccontano che il re di Francia Luigi XI non volle che il
figlio, il futuro Carlo VIII, ricevesse alcuno tipo di istruzione
ma si adoperò personalmente affinché almeno
del latino imparasse queste cinque parole: "Qui nescit
dissimulare, nescit regnare" massima machiavellica
che lo accompagnò per tutto il periodo del suo regno.
Non è che, dall'Unità d'Italia ad oggi, tanti
nostri politici si siano comportati in modo troppo diverso:
alterare o nascondere la verità, fare diventare la
corruzione e l'intrigo regola di comportamento, usare ogni
mezzo utile a screditare l'avversario non ultimi gli insulti
e la diffamazione è diventata, per tanti, una spregevole
consuetudine d'altra parte come recita il detto: "Calunnia
senza timore: qualcosa rimane sempre attaccato" Vedi
a questo proposito "Audacter calumniare, semper
aliquid haeret".
Qui numquam quievit quiescit, tace:
Resta in silenzio! Colui che non ebbe mai requie sta riposando.
Iscrizione posta sul sarcofago di Gian Giacomo Trivulzio
nella Chiesa di san Nazzaro in corso di Porta Romana in Milano.
Per comprendere questo epitaffio occorre rifarsi alla vita
eccezionalmente attiva di questo condottiero nato a Milano
nel 1440 e morto in Francia nel 1518. Non ci fu campo di battaglia
in cui non fosse presente: A Martinengo contro i veneziani,
a napoli al servizio di Alfonso d'Aragona contro Carlo VIII,
al servizio di Carlo VIII nella battaglia di Fornovo e nella
conquista di Asti. Il successore cdi Carlo III lo nomina Maresciallo
di Francia e lo invia in Italia alla conquista del Ducato
di Milano. Combatte e sconfigge i Veneziani ad Agnadello,
gli svizzeri nella battaglia di Marignano (oggi Melegnano).
Si tratta del canto del cigno. Caduto in disgrazia agli occhi
del re di Francia muore senza aver avuto la soddisfazione
di potersi giustificare.
La battaglia di Marignano nota pure come battaglia dei giganti
stando a Francesco Guicciardini (Storia d'Italia, Lib.12,
cap.15) deve simile definizione allo stesso Triulzio "affermava
questa essere stata battaglia non d'uomini ma di giganti;
e che diciotto battaglie alle quali era intervenuto erano
state, a comparazione di questa, battaglie fanciullesche".
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