Sutor, ne supra crepidam...!
Vires acquirit eundo:
Acquista le forze camminando. (Virgilio, Eneide, IV, 175).
Il Poeta parla qui della fama, che tanto più cresce quanto
più si diffonde. Per questo un nostro proverbio dice: "Acquista
fama e dormi", intendendo che penserà essa a far i tuoi
interessi.
Virgo formosa, etsi sit oppido pauper, tamen abunde dotata
est:
Una bella ragazza, per quanto assolutamente povera, possiede
doti in abbondanza (Apuleio, Apologia , 92, 6).
L'"Apologia" di Apuleio conosciuta anche
come " Pro se de magia"
(=Difesa in suo favore per l'accusa di magia), è la
trascrizione del discorso difensivo pronunciato, dallo stesso
autore, al processo per magia del 158 d.C. Da allora sono
cambiati i tempi e i costumi. Certamente oggi avrebbe faticato
a far passare per valida la sua linea di difesa ma anzichè
spiegarne il motivo riporto il passo che ritengo non più
valido: "Virgo formosa affert ad maritum pulchritudinis
gratiam, floris rudimentum. Ipsa virginitatis commendatio
iure meritoque omnibus maritis acceptissima est. Quodcumque
aliud in dotem acceperis, potes, cum libuit, omne ut acceperas
retribuire: mancipia restituere, domo demigrare, praediis
cedere: sola virginitas cum semel accepta est, reddi nequitur,
sola apud maritum ex rebus dotalibus remanet. Vidua autem
qualis nuptiis venit, talis divortio digreditur; nihil affert
inreposcibile, sed venit iam ab alio praeflorata..."
(= Una giovane avvenente porta al marito la grazia della
bellezza, la primizia del suo fiore. L’offerta della
verginità giustamente e a ragione, è graditissima
a tutti i mariti. Ogni altro bene tu abbia ricevuto in dote,
puoi, quando vorrai, restituire intero come l'hai ricevuto:
riconsegnare gli schiavi, lasciare la casa, abbandonare i
poderi: la sola verginità, una volta ricevuta, non
si può più restituire, unico bene di quanti
portati in dote rimane al marito. La vedova invece nello stesso
modo in cui giunge nella casa del marito così con la
separazione se ne va, nulla porta che non possa essere chiesto
in restituzione, avendo infatti già offerta la verginità
ad un altro...)
Viribus unitis:
Con L'unione delle forze.
Nome della corazzata austriaca affondata dal maggiore Rossetti
e dal tenente medico Paolucci nelle acque di Pola il 31 ottobre
1918. La locuzione si ripete come appello alla concordia,
all’unione, base fondamentale per la buona riuscita in tutte
le imprese.
Virtus post nummos!:
L'onestà dopo i soldi! (Orazio Epistularum liber I, v. 55)
"O cives, cives, quaerenda pecunia primum est ;
virtus post nummos ! Haec Ianus summus ab imo
prodocet, haec recinunt iuvenes dictata senesque laevo suspensi
loculos tabulamque lacerto." (=Cittadini, cittadini
occorre innanzitutto fare denari, l'onestà viene dopo
i soldi! Questa massima viene proclamata dall'arco di Giano,
e tutti con borse e taccuini sotto il braccio giovani e vecchi
ripetono come gli scolari la lezione del maestro). "Giani"
si chiamavano certe vie che finivano con arcate termimanti
nel Foro. Le tre principali erano il "Ianus summus,
imus e medius". Al termine di quest' ultima stavano
i banchieri (argentarii), Con il termine "Ianus
medius" si definiva quella che attualmente per noi
è la "Borsa" . Il termine "pecunia"
deriva dal latino pecus=bestiame, in quanto i nostri antenati,
legati all'agricoltura e all'allevamento avevano come unica
fonte di reddito gli animali. Concetto opposto a quanto espresso
da Orazio sarebbe "ante lucrum nomen" ma
è troppo recente per essere apprezzato dai... romani.
.
Virtute duce, comite Fortuna:
Se ciò che guida è la virtù, compagna
della vita sarà la Sorte... (Cicerone, Epist. fam.,
X, 3).
Abusato motto che troviamo sia nell'araldica che in tanti
stemmi militari.
Per i latini il termine "Fortuna" non ha
alcuna connotazione nè positiva nè negativa,
e pertanto il termine deve intendersi come "sorte, destino".
Virtutis expers verbis iactans gloriam ignotos fallit, notis
est derisui:
Chi manca di valore, e tuttavia esalta le sue opere, inganna
chi non lo conosce, ma viene deriso da chi sa valutarlo (Fedro,
Favole, Libro I, 11, 1-2).
È la morale derivata dalla favola: "L’ asino e il leone
alla caccia", dove l’asino spaventa con i suoi fortissimi
ragli le fiere per farle prendere dal leone. Ad impresa finita,
l’asino chiede quale impressione gli abbiano fatto i suoi
ragli. "Terribile! - rispose il leone - se non avessi
saputo chi eri, sarei fuggito anch’io!".
Vitam impendere vero:
Sacrificare la vita per la verità (Giovenale, Satira
IV, 91).
Si racconta fosse uno dei motti più cari a Jean-Jacques
Rousseau grande ammiratore di Socrate testimone di una strenua
ricerca della verità sino al martirio. Da Boezio a
Tommaso Moro, da Angelo Vassallo alla giornalista Anna Politkovskaja,
da Galileo a mons. Romero per non citare che alcuni personaggi
a tutti noti riusciamo ad immaginare le migliaia di sconosciuti
che non si sono piegati a nessun compromesso a costo della
loro vita?
Vita mutatur non tollitur:
La vita non termina (con la morte), cambia solamente.
Ripreso dal prefazio della messa dei Defunti è
il messaggio di consolazione e speranza rivolto al cristiano
per il quale l'uscita dalla vita terrena altro non rappresenta
che l'inizio della vita celeste.
Vixi, et, quem dederat cursum fortuna, peregi!:
Ho vissuto (la mia vita) e ho compiuto il percorso che il
destino mi ha assegnato (Virgilio Eneide libro IV v. 654).
Sono le parole pronunciate dalla regina Didone prima di uccidersi:
aveva portato in salvo i suoi concittadini, aveva fondato
una città e ne aveva visto crescere giorno dopo giorno
il potere, aveva vendicato il marito Sicheo... poi era arrivato
un esule troiano e ora, per un momento di umana debolezza,
vinta nel suo orgoglio di donna innamorata altra soluzione
non trova che trafiggersi con un pugnale.
Vive in dies et horas; nam proprium est nihil:
Vivi giorno per giorno, ora per ora; perchè nulla ti appartiene
(dall'epitaffio di Prima Pompea I / II sec. a.C.).
Simile espressione non si discosta troppo, quanto a significato,
da quel tanto più famoso "Carpe diem"
di Orazio. Si tratta ovviamente di una visione pagana
della vita, oltre alla quale si ritiene null'altro esista
e occorre pertanto prendere ogni giorno il massimo che ci
viene regalato.
Vivit sub pectore vulnus:
La ferita sanguina nell'intimo del cuore. (Virgilio,
Eneide, IV, 67).
Il Poeta allude alla passione di Didone per Enea, passione
che la porterà in seguito alla disperazione. Si cita a proposito
di passioni forti, violente, che lasciano una impronta indelebile.
Volenti nihil impossibile:
Niente è impossibile per chi lo vuole.
Con lo stesso significato lo si trova anche come: "Volere
è potere, A chi vuole non mancano modi, Chi si nutre
di speranza muore di fame... Praticamente ogni paese
lo ha tradotto a modo suo. Difficile immaginare un mondo abitato
da rinunciatari. Un mondo senza Colombo, Galilei, Marconi,
Madre Teresa, Martin Luther King e quanti in tutte le epoche
e a tutte le laltitudini hanno combattuto e spesso dato la
vita per il raggiungimento di un ideale. Non dimentichiamo,
restando a casa nostra e a tempi recenti, i tanti imprenditori
venuti dal nulla che hanno costruito, spinti dalla fame, dall'orgoglio
e dal desiderio di emergere imperi economici nelle più
varie attività, dall'editoria alla meccanica, dall'edilizia
alle telecomunicazioni dal tessile al chimico, imperi che,
quasi mai, hanno resistito oltre una generazione. L'ncapacita,
il disinteresse, la pancia ormai piena di figli o di nipoti
li hanno spesso spinti ad affidare a manager rampanti e levantini
la conduzione dell'azienda con i risultati che quotidianamente
sono sotto i nostri occhi.
(Detto segnalato da Franco M.)
Volenti non fit iniuria:
A chi acconsente, non si fa ingiuria.
Principio di giurisprudenza che nega l’esistenza dell’offesa
quando una persona ha consentito ad un’azione. Chi consente,
non ha più diritto di lamentarsi.
Vox clamantis in deserto:
Voce di chi grida nel deserto. (Nuovo testam Mt., III, 3).
Parola dette da Gesù Cristo a proposito della predicazione
fatta da S. Giovanni Battista nel deserto. Comunemente però
la frase si cita con altro significato, alludendo a persona
che non è ascoltata.
Vox faucibus haesit:
La voce mi si arresta in gola (Virgilio, Eneide libro III,
v. 48).
Fuggiti da Troia in fiamme, prima meta dei profughi Troiani
tè la Tracia ma un orribile prodigio li persuade ad
andarsene da quella terra maledetta. Mentre Enea strappa fronde
si mirto da un cespuglio per adornarne un altare, dai rami
spezzati colano gocce di sangue. "Steterunt comae
et vox faucibus haesit" (=I capelli gli si rizzano
sul capo e la voce gli si arresta in gola) quando scopre che
quei rami altro non sono che le membra di Polidoro figlio
di Priamo che, mandato dal padre presso il cognato re della
Tracia, da questi fu ucciso per impadronirsi delle ricchezze
che aveva portato da Troia.
Vox populi, vox Dei:
Voce di popolo, voce di Dio.
Nei Promessi Sposi incontriamo questa espressione al cap.
XXXVIII sulla bocca di don Abbondio mentre intona un peana
in onore del marchese che, morto don Rodrigo (finalmente),
ne aveva ereditato i beni (E anche se io stessi zitto , già
non servirebbe a nulla, perché parlan tutti; e vox
populi, vox Dei). Antico proverbio che stabilisce la
verità d’una cosa, quando il popolo è concorde nell’ affermarla.
Per questo si attribuisce comunemente il marchio della verità
ai proverbi coniati dall’esperienza e dalla logica popolare.
Si recita spesso in adunanze, quando la maggior parte dei
convenuti è d’accordo su un determinato argomento. Non dello
stesso parere è il Manzoni quando, sempre nello stesso
romanzo al cap. XXXI scrive a proposito della peste: "Molti
medici ancora, facendo eco alla voce del popolo (era, anche
in questo caso, voce di Dio?), deridevan gli augùri
sinistri,...".
Come può essere che un proverbio, tra i più
usati ed abusati, possa contenere ben due rischi di errore?
infatti chi ha autorità e responsabilità, sbaglia
nel dar retta alla voce del popolo quando, quest'ultimo, non
ha saputo interpretare in modo oggettivo... la voce di Dio!
Vulgare amici nomen, sed rara est fides:
Frequente il nome di amico, ma la fedeltà è
rara (Fedro, Favole, Libro III, 9, 1).
Un tale vedendo la casetta che Socrate s’era fatto costruire
chiese: "Come mai tu, uomo sì celebre, ti accontenti
di una casa così piccola?" "Volesse il cielo,
rispose il filosofo, che io trovassi tanti amici da riempirla!"
Vulgo:
Comunemente detto, volgarmente detto.
Questa espressione letteralmente significa "per il
popolo" ed indica un modo popolare e non scientifico
di definire una determinata cosa . Divenuta ormai espressione
"dotta" la si sostituisce nel discorso,
di preferenza, con gli avverbi "comunemente" o "volgarmente"
dove quest'ultimo non ha il significato secondario, acquisito
nel tempo, di rozzo o irriguardoso ma bensì di espressione
in lingua volgare, quella cioè usata dal popolo, che
si differenziava dal latino considerato la lingua dei dotti.
Vulgus vult decipi, ergo decipiatur:
Il popolo vuole essere imbrogliato, ed allora imbrogliamolo.(Anonimo)
Non sono riuscito a trovare il nome del ... cinico che
ha per primo coniato questo detto. Quanti dall'inizio dell'umanità
lo hanno messo in pratica senza ... conoscere il latino. Le
cronache quotidiane sono piene di piccole truffe ai danni
di anziani o persone facilmente influenzabili ma anche di
imprese truffaldine consumate ai danni di investitori poco
accorti o abbagliati da facili profitti, di imbonitori capaci
di far leva sulla credulità o sulla superstizione di
animi semplici (oddio qualche volta anche sempliciotti) e
sempre all'insegna del... vulgus vult decipi, ergo...!!!
Vulnus:
Ferita, taglio, percossa, lesione fisica o morale.
Il vocabolo, utilizzato ormai solo nel linguaggio
giuridico, sta ad indicare la lesione di un diritto, una ferita
inferta alle istituzioni, il non rispetto di una norma, un'offesa
che può produrre profonda destabilizzazione di un principio
o di una norma.
Vulpem pilum mutare, non mores:
La volpe cambia il pelo, non le abitudini (Svetonio Divus
Vespasianus XVI,8).
Dice la storia che prima preoccupazione di Vespasiano, eletto
imperatore, fu di riordinare l'esercito e le finanze e, per
sistemare queste ultime, vendette a prezzi altissimi le cariche
pubbliche. Considerandoli infatti tutti ladri, affermava che
in questo modo iniziavano a restituire quanto avrebbero rubato
in futuro. Organizzò il fisco affidandolo a funzionari
avidi che inviò a far bottino in tutte le province
dell'impero tra la gioia dei... contribuenti. A rapina avvenuta
li richiamò a Roma e ne confiscò i
beni pareggiando il bilancio. Forte del detto che
"pecunia non olet" escogitò ogni
modo di portare soldi all'erario non ultimo le latrine pubbliche
a pagamento o la tassa sull'urina usata dai conciatori di
pelli. La frase citata e riportata da Svetonio sembra sia
stata pronunciata da un contadino che, ridotto alla miseria
dalle imposte imperiali, si era reso conto che era cambiato
solo il direttore dell'orchestra , non la musica.
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