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Cari
amici lettori |
Tornando
alla mia terra, in pensione, ho sentito le mie radici
reinserirsi nel contesto in cui ero nato e cresciuto
.
Ho avvertito così il bisogno di esprimere in
poesia e nel mio dialetto i valori morali della nostra
gente e certi aspetti della vita moderna spesso in
contraddizione con i modi di vivere dei tempi passati
.
Ho scritto le poesie che seguono con il solo intento
di comunicare certe mie osservazioni o sentimenti
che sentivo dentro, ad amici, a conoscenti e non.
Non certo per trarne un vantaggio economico.
Anzi, se così, dovesse succedere destinerò
il ricavato ad opere benefiche.
Come molti sapranno, il dialetto piacentino, non ha
un accento uniforme.
Nella città e nelle zone di pianura l’accento
è largo, fiacco, da bulli .
In collina e sulle prime zone di montagna è
più stretto, conciso, più asciutto.
Nell’alta montagna è addirittura molto
difficile da capire perchè assomiglia al genovese.
Per questo, gli abitanti delle zone di montagna, quando
scendono in pianura si sforzano di parlare in italiano,
per farsi capire.
A proposito voglio ricordare un fatto.
Eravamo in un periodo a ridosso delle elezioni di
diversi anni fa e il muro di Berlino non era ancora
crollato .
Molti avevano paura dell’avanzare del Partito
Comunista .
Era un Venerdì sera, stavo tornando da Milano
ed ero sulla corriera che da Piacenza porta a Podenzano
.
Davanti a me un signore dice, a quello vicino: adesso
arriva la “ falce col martello” , state
attenti voi montanari ! Il signore a fianco, calmo,
rispondeva in dialetto dell’alta Val Nure :
“Nu ghemmu mia püra da mesciura, gh’è
l’èmmu e man tüttu l’anu!...
(noi non abbiamo paura del falcetto, l'abbiamo in
mano tutto l'anno!...).
Questo per ricordare l’accento tipico di quel
dialetto di lassù .
Ci sono poi piccole isole territoriali dove la popolazione
parla un dialetto specifico .
A Grazzano Visconti, ad es., dove dicono: “
mì , tì , cull lì “ mentre
a Vigolzone e a Rivergaro, paesi limitrofi , si dice:
“ me , tè , cull lè “.
Sempre per dire: io, tu, quello li .
Sarebbe interessante capire perché solo nel
piccolo borgo l’accento gravita sulla “
ì “.
Io scrivo nel mio dialetto. Quello della medio - bassa
Val Nure, dove sono nato e cresciuto.
Le origini del nostro dialetto si perdono, come si
dice, nella notte dei tempi.
Quello che è certo che nei secoli ha subito
mutamenti come tutte le lingue .
Addirittura esistevano, sino a decenni or sono, vocaboli
derivati dal latino: “ mandè un ragass
par famèi “voleva dire mandare un ragazzo
presso una famiglia, generalmente di agricoltori,
i quali lo prendevano a servizio, per i lavori dei
campi, fornendogli in cambio vitto, alloggio e un
modesto salario perchè viveva insieme alla
famiglia ospitante.
Il vocabolo “ famèi” deriva dal
Latino “ famulus” cioè, servo,
aiutante della famiglia.
Il nostro dialetto è stato anche influenzato
dai dialetti di altre popolazioni, venute a contatto
con la nostra gente, per motivi commerciali o bellici
.
Ai tempi del Ducato di “ Parma, Piacenza e Guastalla
“, epoca in cui regnava Maria Luisa d’Austria,
moglie di Napoleone, acquisì parole e modi
di dire tipicamente francesi.
Ancora adesso, in alcune zone, le patate per es. si
chiamano “ pum da tèrra “ dal francese
“ pomme de terre ”, l’autista del
camion o della corriera sino a poco tempo fa si chiamava
“ souför “ dal francese “ chauffeur
”, e sempre dal francese "tire-bouchon",
il cavatappi, dalle nostre parti si chiama "tirabüsson".
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Torniamo
alle mie composizioni . |
Nelle
mie poesie ho cercato di mettere in evidenza i valori
in cui i nostri vecchi credono, come: il buon senso,
l’onore, la parsimonia, la loro semplicità
ma anche il loro desiderio di passare qualche ora in
compagnia .
Dei fatti che ho trattato, diversi sono realmente accaduti
.
Nella stesura non ho rispettato le regole ferree della
metrica.
Queste avrebbero, in certi casi, sacrificato il senso
del discorso.
Ho scritto in modo spontaneo e libero, quello che mi
sentivo di comunicare . |
l
dialetto non è facile, né da scrivere
né da leggere.
Il computer a volte si rifiuta di scrivere certe parole,
in dialetto.
Per quanto riguarda l’ortografia mi sono attenuto
il più possibile al vocabolario Piacentino-Italiano
di mons. Guido Tammi, edito nel 1998.
Questo fa seguito ad un precedente vocabolario di
Lorenzo Foresti pubblicato nel 1836 e ristampato nel
1882 e nel 1885.
Per
venire in aiuto ai lettori fuori provincia nell'interpretazione,
non facile, del nostro dialetto, riporto quanto segue
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Norme
di pronuncia del dialetto piacentino:
(dal citato Mons. Guido Tammi) |
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ä
= suono fra “a“ ed “è“
( pär "padre"
) |
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ë
= suono fra “a“ ed “eu“
francese ( frëdd "freddo"
) |
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ö
= suono di “eu“ francese
( cör "cuore") |
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ü
= suono di “u“ francese
( mür "muro"
) |
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c’
= suono dolce ( occ’
"occhio") |
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g’
= suono dolce ( curagg "coraggio“) |
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s’c’
= pronuncia separata ( s’ciopp
"schioppo") |
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Eugenio
Milza |
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