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pagine viste dal 20.02.06
 
Cari amici lettori

Tornando alla mia terra, in pensione, ho sentito le mie radici reinserirsi nel contesto in cui ero nato e cresciuto .
Ho avvertito così il bisogno di esprimere in poesia e nel mio dialetto i valori morali della nostra gente e certi aspetti della vita moderna spesso in contraddizione con i modi di vivere dei tempi passati .
Ho scritto le poesie che seguono con il solo intento di comunicare certe mie osservazioni o sentimenti che sentivo dentro, ad amici, a conoscenti e non.
Non certo per trarne un vantaggio economico.
Anzi, se così, dovesse succedere destinerò il ricavato ad opere benefiche.
Come molti sapranno, il dialetto piacentino, non ha un accento uniforme.
Nella città e nelle zone di pianura l’accento è largo, fiacco, da bulli .
In collina e sulle prime zone di montagna è più stretto, conciso, più asciutto.
Nell’alta montagna è addirittura molto difficile da capire perchè assomiglia al genovese.
Per questo, gli abitanti delle zone di montagna, quando scendono in pianura si sforzano di parlare in italiano, per farsi capire.
A proposito voglio ricordare un fatto.
Eravamo in un periodo a ridosso delle elezioni di diversi anni fa e il muro di Berlino non era ancora crollato .
Molti avevano paura dell’avanzare del Partito Comunista .
Era un Venerdì sera, stavo tornando da Milano ed ero sulla corriera che da Piacenza porta a Podenzano .
Davanti a me un signore dice, a quello vicino: adesso arriva la “ falce col martello” , state attenti voi montanari ! Il signore a fianco, calmo, rispondeva in dialetto dell’alta Val Nure :
“Nu ghemmu mia püra da mesciura, gh’è l’èmmu e man tüttu l’anu!...
(noi non abbiamo paura del falcetto, l'abbiamo in mano tutto l'anno!...)
.
Questo per ricordare l’accento tipico di quel dialetto di lassù .
Ci sono poi piccole isole territoriali dove la popolazione parla un dialetto specifico .
A Grazzano Visconti, ad es., dove dicono: “ mì , tì , cull lì “ mentre a Vigolzone e a Rivergaro, paesi limitrofi , si dice: “ me , tè , cull lè “.
Sempre per dire: io, tu, quello li .
Sarebbe interessante capire perché solo nel piccolo borgo l’accento gravita sulla “ ì “.
Io scrivo nel mio dialetto. Quello della medio - bassa Val Nure, dove sono nato e cresciuto.
Le origini del nostro dialetto si perdono, come si dice, nella notte dei tempi.
Quello che è certo che nei secoli ha subito mutamenti come tutte le lingue .
Addirittura esistevano, sino a decenni or sono, vocaboli derivati dal latino: “ mandè un ragass par famèi “voleva dire mandare un ragazzo presso una famiglia, generalmente di agricoltori, i quali lo prendevano a servizio, per i lavori dei campi, fornendogli in cambio vitto, alloggio e un modesto salario perchè viveva insieme alla famiglia ospitante.
Il vocabolo “ famèi” deriva dal Latino “ famulus” cioè, servo, aiutante della famiglia.
Il nostro dialetto è stato anche influenzato dai dialetti di altre popolazioni, venute a contatto con la nostra gente, per motivi commerciali o bellici .
Ai tempi del Ducato di “ Parma, Piacenza e Guastalla “, epoca in cui regnava Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone, acquisì parole e modi di dire tipicamente francesi.
Ancora adesso, in alcune zone, le patate per es. si chiamano “ pum da tèrra “ dal francese “ pomme de terre ”, l’autista del camion o della corriera sino a poco tempo fa si chiamava
“ souför “ dal francese “ chauffeur ”, e sempre dal francese "tire-bouchon", il cavatappi, dalle nostre parti si chiama "tirabüsson".

Torniamo alle mie composizioni .
Nelle mie poesie ho cercato di mettere in evidenza i valori in cui i nostri vecchi credono, come: il buon senso, l’onore, la parsimonia, la loro semplicità ma anche il loro desiderio di passare qualche ora in compagnia .
Dei fatti che ho trattato, diversi sono realmente accaduti .
Nella stesura non ho rispettato le regole ferree della metrica.
Queste avrebbero, in certi casi, sacrificato il senso del discorso.
Ho scritto in modo spontaneo e libero, quello che mi sentivo di comunicare .
l dialetto non è facile, né da scrivere né da leggere.
Il computer a volte si rifiuta di scrivere certe parole, in dialetto.
Per quanto riguarda l’ortografia mi sono attenuto il più possibile al vocabolario Piacentino-Italiano di mons. Guido Tammi, edito nel 1998.
Questo fa seguito ad un precedente vocabolario di Lorenzo Foresti pubblicato nel 1836 e ristampato nel 1882 e nel 1885.
Per venire in aiuto ai lettori fuori provincia nell'interpretazione, non facile, del nostro dialetto, riporto quanto segue :
   
  Norme di pronuncia del dialetto piacentino: (dal citato Mons. Guido Tammi)
   
  ä = suono fra “a“ ed “è“ ( pär "padre" )
  ë = suono fra “a“ ed “eu“ francese ( frëdd "freddo" )
  ö = suono di “eu“ francese ( cör "cuore")
  ü = suono di “u“ francese ( mür "muro" )
  c’ = suono dolce ( occ’ "occhio")
  g’ = suono dolce ( curagg "coraggio“)
  s’c’ = pronuncia separata ( s’ciopp "schioppo")
    Eugenio Milza
   
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