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Il mercato di Bettola nei tempi passati
Eugenio Milza

Il mercato anche nei tempi più remoti si faceva al lunedì.
La partecipazione era molto sentita e massiccia.
La gente arrivava a piedi dalle frazioni circostanti e anche dalle vallate vicine.
Quelli della pianura erano più fortunati.
Potevano servirsi del trenino con motrice a vapore ad un solo binario ” ‘L trambäi”, dall’inglese Tramvai che dalla fine del 1800 solcando la val Nure collegava Bettola a Piacenza.
A Grazzano Visconti sui suoi binari si inseriva anche la linea proveniente da Rivergaro.
Poi nel 1932 venne messo in servizio un convoglio a trazione elettrica “ la littorina”. La linea rimase attiva fino al 1967 quando fu istituito l’attuale servizio di pullman.

Tutti erano desiderosi di recarsi al mercato in quanto ci si incontrava con gli amici, con i parenti e i conoscenti , con i commercianti di legna o di bestiame, di stoffa o prodotti per la casa.
Il mercato di Bettola è sempre stato molto rinomato per il bestiame.
Generalmente si contrattava con l’aiuto di un intermediario “al mediatur” a cui, ad affare concluso, era consuetudine dare una piccola provvigione “la mediazion“.
Non dare la mediazione al “ mediatur” costituiva un disonore.
La trattativa spesso non era di breve durata.
L’accordo sul prezzo tra venditore e compratore a volte si protraeva anche per gran parte della mattinata.
I mercanti di bestiame di una certa importanza quasi sempre venivano dall’oltre Po.
I nostri vecchi li chiamavano “ i magott”.
Venivano chiamati così perché diversi avevano il gozzo causa lo scarso consumo di sale che si faceva in Lombardia.
Chi disponeva di un manzo ben messo, che prometteva bene, si recava al mercato per trovarne un altro simile e farne due buoi da tiro. Prendeva uno spago e faceva un’asola ad una estremità poi andava nella stalla, si accostava al manzo e infilava l’asola nell’unghia posta sopra lo zoccolo anteriore.
Dopo tirava lo spago verso l’alto fin sull’estremità del collo dove scorre la spina dorsale.
In quel punto faceva un nodo.
Con quella rudimentale misura avrebbe ripetuto l’operazione al mercato per individuare l’animale più idoneo da accoppiare al suo.
Dovendo lavorare appaiati era bene che fossero della medesima altezza.
Quando si acquistava un animale : manzo, mucca o un paio di buoi l’acquirente entro otto giorni aveva il diritto di restituirlo qualora si fosse rivelato difettoso.
Bastava che zoppicasse o manifestasse l’abitudine di tirare cornate a chi si avvicinava per poter essere restituito, in quanto pericoloso. In pratica già a quei tempi c’era quello che attualmente viene chiamato “ Diritto di recessione”.
Chi era intenzionato a rivendere il bestiame in un altro mercato della provincia si serviva di un accompagnatore che a piedi, dietro modesto compenso, si offriva ad accompagnare il bestiame nel paese voluto dal commerciante.
Questi accompagnatori, chiamati “ i paron” , per accorciare le distanze non seguivano le strade principali ma attraversavano le nostre montagne su sentieri o strade spesso accidentate e sassose per decine e decine di km.
Ho conosciuto anch’io uno di questi personaggi.
Per il continuo andirivieni da un paese all’altro col bestiame, da anziano si muoveva in modo sciancato dondolandosi sulle gambe.

La legna si portava a Bettola con carri tirati dai buoi.
Mio padre raccontava che una notte mentre tornava a casa da Bettola dove aveva accompagnato un carico di legna, seduto sulla parte laterale del carro con le gambe a penzoloni fu colpito dalla stanchezza e dal sonno.
Giunto nei pressi della pineta cadde e una delle ruote posteriori gli passò addosso.
Fortunatamente non riportò gravi conseguenze.
Si rimise sul carro e si avviò di nuovo verso casa.
La pineta che sovrasta il paese venne piantata dopo che una frana, staccatasi a sud dei Buzzetti, aveva raggiunto la piazza.
Sempre con i buoi, si portava a Bettola il grano o la melica da macinare.
Al mugnaio non si dava un compenso in danaro ma una percentuale della farina ottenuta dalla macina.
Il quantitativo spettante al mugnaio si chiamava “muldüra”.
Cioè compenso per la molitura.
Le donne portavano al mercato polli, tacchini o altri animali da cortile avvolti in un grande fazzoletto a quadri bianchi e blu, con gli angoli annodati a due a due.
Era “ al fasulton dla spesa “. Il fazzolettone della spesa.
Perchè venduti i volatili serviva appunto per la spesa.
Sostituiva in pratica l’attuale borsa di plastica.
Le uova, qualche formaggio o ricotta invece erano messi in ceste di vimini.
Col ricavato acquistavano le poche cose essenziali per la cucina: il sale, i fiammiferi e l’olio.
Questo si metteva in una bottiglietta di vetro dentro la cesta, con il collo legato da uno spago al suo manico.

C’era anche chi acquistava qualche pezza di stoffa, “ i scampul “ per ricavarne grembiuli o altri indumenti.
A quei tempi c’erano sarti ambulanti che dotati di una piccola macchina da cucire portatile si recavano presso le famiglie e confezionavano sul posto gli indumenti sia da lavoro che per la
“ festa”.
Vorrei ricordare a proposito che a Biana risiedevano alcuni fratelli e sorelle che gestivano una piccola sartoria.
Mi ha riferito uno dei fratelli, morto ultranovantenne, che mentre le sorelle lavoravano presso la loro abitazione lui stava fuori casa anche alcune settimane.
Naturalmente la famiglia che aveva richiesto il servizio del sarto forniva oltre al compenso anche vitto ed alloggio.
Chi aveva figlie, poco alla volta, al mercato acquistava capi di biancheria, per preparar loro il corredo , “ la parèda”.

Il mercato per i giovani era anche un’occasione per fare incontri di carattere sentimentale che poi sfociavano in belle e numerose famiglie.
Si andava al mercato anche per sentire qualche nuova notizia sulla guerra o di politica.
La radio e la televisione non c’erano, i giornali non erano molto diffusi e le notizie si sapevano dal prete, da qualche militare tornato in licenza o al mercato.
Al mercato si prendevano anche contatti per partire come mondariso o come taglialegna nell‘oltre Po.

   
   
   
   
 
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