Gare di velocità
La chiocciola
La prima concorrente che si presentò in pista
fu la chiocciola. Avanzava lentamente con un bel
guscio striato e colorato addosso. Non si lasciava
dietro né polvere, né fumo, ma una
bella scia coi colori dell'arcobaleno.
- Vuoi correre con codesto coperchio sulla groppa?
- Sicuro. È la mia casa di puro marmo. L'ho
costruita da me e ci ho aggiunto un piano per anno.
Si devono conoscere i nuovi quartieri anche di fuori.
- La casa è molto bella, ma un po' scomoda
per la corsa.
- Senza di essa, non correrei di più. La
mia sorella lumaca, che non ha casa, non è
più veloce di me.
La chiocciola si avvicinò al nastro bianco.
Venne dato il segnale della partenza.
Via!
La chiocciola partì sul suo unico piede,
carnoso e ovale. Avanzava prima la parte destra
di quel piede, poi la parte sinistra, poi ancora
quella destra e così via. Procedeva, come
uno sciatore in salita.
Durante la corsa s'innaffiava da sé la strada,
versando innanzi al piede una bava vischiosa che
rendeva liscio il terreno e fermava la polvere Col
collo teso e gli occhi neri sporgenti dai cornetti
molli, la chiocciola avanzava.
Attenti al cronometro!
Eccola giunta! Il suo nastro iridescente tagliò
il nastro bianco del traguardo.
In un'ora, la chiocciola aveva percorso sette metri,
alla velocità di un chilometro in sei giorni!
Non era punto accaldata; non aveva addosso un granello
di polvere.
Le venne offerta una foglia di lattuga, mentre la
giuria le decretava il primato della lentezza sulla
terra.
La tertaruga
Sì udì raspare il terreno, e la tartaruga
si avanzò anch'essa con la sua pesante casa
addosso.
Ma appena fu vicina al palo della partenza, sbucò
di tra l'erba una lepre furente :
- Signori della giuria, - strillò la lepre,
- non permettete alla tartaruga di correre.
- Perché, - chiesero i giudici stupiti, -
la tartaruga è una bestia onorata da tutti,
scienziati ed artisti. Il primo strumento musicale
a corda fu costruito col suo guscio prezioso.
La lepre era una povera ignorantella. Restò
male a queste notizie.
- La tartaruga, - continuò con timidezza,
- è una bestia ingannatrice. Vedete come
è vecchia? Ha più di cinquecento anni.
- La vecchiaia, - risposero i giudici, - non è
un difetto. La tartaruga conosce per questo la storia
ed è molto saggia.
- Non saggia, - insistette la lepre, - ma furba.
Non c'è animale più scaltro di lei.
Sapete quello che fece a me in una storica corsa?
- Raccontaci alla svelta!
La lepre si lisciò i baffi, si ripulì
i denti sporgenti e raccontò:
- Un giorno la tartaruga ebbe la sfrontatezza di
sfidarmi alla corsa. Accettai subito. Mi condusse
in un campo lungo un centinaio di metri e lavorato
a solchi. Io in capo a un solco e lei in capo ad
un altro solco, partimmo correndo. In quattro salti
io giunsi in fondo al solco, sicura di aver vinto.
Mi parve di sognare quando vidi che la tartaruga
era già sul traguardo e mi aspettava. Non
mi detti per vinta e la sfidai a far la corsa di
ritorno. Facevo lanci come se avessi i cani dietro.
Ma anche questa volta rimasi sbalordita nel vedere
che la tartaruga mi aspettava sul traguardo con
un filo d'erba in bocca. Dalla vergogna mi rintanai
per una settimana.
- Come è possibile quello che ci racconti?
- dissero i giudici.
-È possibile benissimo, conoscendo la malizia
della tartaruga. Sapete che imbroglio aveva fatto?
Me lo svelò una lucertola sua parente. Si
era messa d'accordo con una sua sorella. L'una si
era messa in capo a un solco, l'altra in fondo.
Alla partenza non si muovevano neppure. Arrivando
al traguardo, io trovavo sempre una tartaruga che
mi aspettava, come se fosse giunta molto prima di
me!
La lepre, a ricordare il tranello della tartaruga,
fremeva tutta. I giudici guardarono con aria di
rimprovero la vecchia bestia.
- Vergogna, - dicevano, - vergogna. Una bestia tanto
stimata, di così illustre casata, di tanta
sapienza e saggezza, ingannare una lepre ingenua
e selvatica!
La tartaruga avrebbe voluto rispondere. Aprì
la bocca, ma le uscì un lungo sbadiglio.
Il racconto della lepre le aveva affrettato il letargo.
Ritrasse dentro il guscio le zampe e la testa grinzosa
e s'addormentò.
La lepre e il cane
- Non per vantarmi, - esclamò la lepre scoprendo
i dentini aguzzi e sporgenti in fuori da rosicante.
- - Non per vantarmi, ma per questi campi non c'è
nessuno che mi stia dietro.
Non aveva finito di dire queste parole, che un cane
ringhiò.
La lepre tremò tutta.
- Non è vero, - disse il cane. - Io ti sto
dietro benissimo.
Il cane era snello e pronto. Aveva il muso affilato,
le gambe nervose; con la coda batteva l'aria. La
lepre si rappallottolò dinanzi a lui, e non
volle cedere.
- In salita, - disse con filo di voce, - non mi
hai mai raggiunta !
- È vero, - rispose il cane sincero. - È
vero. Ma guardate perché mi vince. Guardate
le sue gambe davanti. Sono molto più corte
di quelle di dietro. Nella salita essa non dura
fatica. Ma nella scesa la cosa è diversa.
Ella ruzzola ed io la raggiungo facilmente.
La lepre, a sentir bandire i suoi difetti, si nascose
nell'erba alta e sparì lungo un solco.
Il cavallo
Si udì nell'aria un nitrito, e apparve lucente
il cavallo. La linea del suo collo era superba.
Una lunga criniera gli ondeggiava al vento. La testa
viva e fremente fiutava l'aria. Scalpitava sulle
quattro gambe magre e fortissime. Il suo mantello
di pelame dava riflessi di luce. La coda arcuata
toccava terra.
- Che bell' animale!- esclamarono i giudici.
- E’ il figlio del vento, - si sentì
dire. - È il signore delle praterie.
Il cavallo impaziente non sostò neppure al
palo. Scattò come una freccia, si schiacciò
al suolo. La criniera e la coda fischiavano. Gli
zoccoli battevano il terreno. Superò il traguardo
alla velocità di 90 chilometri all'ora, e
seguitò sparendo lontano e lasciando in tutti
una grande ammirazione.
L'uomo
Ma apparve l'uomo. Guidava una sua macchina che
si muoveva su quattro ruote. Il motore ronzava,
come se dentro al cofano fosse stato prigioniero
un potente insetto.
- Ti porti dietro la casa come la chiocciola? -
gli dissero i giudici.
- Non è la mia casa, - rispose l'uomo. -
È una macchina che è nata da me, come
il guscio è nato dalla lumaca. Ma, mentre
il guscio è nato dal corpo del mollusco,
questa macchina è nata dalla mia mente, dalla
mia intelligenza.
Non sai camminare da te?
Sì. A passo percorro 6, 7 e anche 10 chilometri
all'ora. Di corsa arrivo a 36 chilometri. Sul ghiaccio,
mi metto due coltelli ai piedi, i pattini, e scivolo
alla velocità di 54 chilometri all'ora. Sulla
neve, mi metto due liste di legno ai piedi, gli
sci, e volo a 137 chilometri all'ora.
- Tu sei molto ingegnoso, - dissero i giudici. -
Nessun animale ha pensato a questo.
L'uomo sorrise:
- Gli animali? Io ho impiegato la loro forza per
correre. Ho attaccato il cane alle mie slitte per
correre sulle pianure ghiacciate. Ho aggiogato le
renne. Il superbo cavallo è stato domato
da me. Mi son fatto portare da lui alle cacce e
nelle battaglie. L'ho attaccato ai veicoli. Ne ho
fatto il mio amico e il mio servitore. Ho usato
anche dei suoi parenti di altre terre, come i cammelli,
le giraffe e le zebre.
- Tu sei il padrone della velocità, - esclamarono
i giudici.
- La velocità degli animali terrestri, -
rispose l'uomo, - non è nulla al confronto
delle velocità che ho ottenuto con le mie
macchine. Ho inventato una specie di cavallo d'acciaio,
leggerissimo. Si chiama bicicletta. Non è
molto veloce, perché non supera i 45 chilometri
all'ora. In compenso è molto comoda e non
mangia. Per farla correre di più le ho applicato
un motore e l'ho trasformata nella motocicletta
che arriva a 272 chilometri all'ora. Per far viaggiare
molti miei simili insieme, ho costruito il treno,
trascinato sulle rotaie da una macchina a vapore
od elettrica.
Ci sono treni rapidi che corrono alla velocità
di 180 chilometri e anche di 205 chilometri all'ora.
Ma le maggiori velocità sulla terra le ottengo
con questa macchina automobile.
Nel dir così l'uomo premette un pedale. Il
motore fece un rombo. Tutta la macchina vibrò.
L'uomo spostò una leva, ingranò la
marcia, partì sopra una lucida strada asfaltata.
485 chilometri all'ora!
Gli animali fuggirono spaventati. Il vento uscì
dal suo antro con gli stivali calzati e chiese il
perché di tanto schiamazzo. Egli era stato
fin dall'antichità il dominatore degli spazi.
“Correre come il vento”, voleva dire
vincere ogni gara.
Il vento si lanciò dietro all'uomo, ma non
riuscì a raggiungerlo. La sua corsa non arrivava
che a poche decine di chilometri all'ora.
Preso dalla collera il vecchio padrone della velocità
si dette a correre all'impazzata. Sradicò
alberi, scoperchiò case, ruzzolò massi:
produsse un ciclone pauroso.
Ma quando ansimante e stanco fece per rientrare
nella sua caverna, venne a sapere di non aver toccato
che la velocità di 140 chilometri.
Allora si lasciò andare per terra con la
barba bianca scompigliata sparsa di polvere, che
una volta era stata la sua gloriosa aureola di vincitore.