L’arte di non far nulla
Michelaccio
Michelaccio era nato di domenica, a mezzogiorno.
Pareva che per lui fosse sempre giorno di festa
e ora di mangiare.
Si svegliava la mattina sbadigliando. Restava insonnolito
a fissare i travicelli della camera e non sarebbe
mai uscito dal caldo del letto. L'acqua gli faceva
paura. La scuola lo annoiava. Le ore di lezione
non gli passavano mai. Contava i minuti con gli
sbadigli. Aveva sempre fame, aveva sempre sonno.
- Michelaccio, che cos'hai?
- Ho sonno!
Ma più dormiva, e più aveva sonno.
- Michelaccio che cosa fai?,
- Nulla!
- Nulla è troppo poco.
- Mi stanco a non far nulla; figuratevi se lavorassi!
La sua fannullaggine diventò proverbiale.
Questa è l'arte di Michelaccio:
Mangiare, bere e andare a spasso.
Ma anche andare a spasso costava fatica. Michelaccio
stava seduto sopra un paracarro o uno scalino, e
lì si faceva divorare dalla noia.
Il passamano
Un giorno gli amici gli dissero:
- M i eh el licei o, in piazza c'è un divertimento
nuovo.
- Una giostra?
- Meglio.
- Un baraccone?
- Meglio.
- Che cosa allora?
- Vieni e vedrai.
Michelaccio si alzò stirandosi e sbadigliando.
- Non mi fate fare un viaggio inutile, - brontolò
e seguì a rilento gli amici.
In piazza avevano scaricato un autocarro di mattoni.
- Guarda che bel giuoco è il passamano, -
dissero gli amici ridendo.
Si sfilarono le giubbe, si tirarono su le maniche
della camicia. Michelaccio stava a vedere con poca
fiducia. Quei preparativi non gli piacevano punto.
Uno degli amici salì sul monte dei mattoni;
un altro si dispose ai piedi; un altro si scostò
di qualche passo, e così fino al posto di
una casa in costruzione.
- Siete pronti? - disse il primo.
- Siamo pronti.
Egli prese un mattone, lo dondolò passandolo
tra le gambe aperte, poi lo lanciò all'amico
vicino.
- Oplà!
Il compagno lo prese a volo, lo dondolò e
lo rilanciò all'altro compagno.
11 mattone passò così di mano in mano.
Non era arrivato in fondo alla catena che già
un altro era in viaggio.
Preso bene il tempo, i mattoni volavano con regolare
cadenza. Gli amici di Michelaccio ridevano.
Il lavoro
Michelaccio si sentiva nascere la voglia di provare
quel giuoco:
- Mi fate fare?
- Non è giuoco per te. Vedi che si suda?
I visi infatti cominciavano a esser lustri.
- Mi fate fare?
Senza volere, Michelaccio si era sfilato la giacca,
arrotolandosi lentamente le maniche della camicia.
- Mi fate fare?
- Scostati. Va' a spasso. Non è giuoco per
te!
- Levati di mezzo. Ci fai imbrogliare!
- Togliti dai piedi!
Michelaccio s'indispettiva:
- Ma io voglio fare come voialtri!
Un mattone scivolò di mano a un compagno.
La catena si ruppe. Michelaccio approfittò
del momento e sostituì subito il compagno
che aveva sbagliato.
- Presto, presto, ricominciamo!
Fu ripreso il passamano. Michelaccio si sentiva
leggero e contento. Sudava, gli dolevano un po'
le mani, ma non smetteva.
Sonò mezzogiorno.
- Basta - dissero i compagni.
Ancora un po’ - implorò Michelaccio.
Sonò il rintocco.
- É tardi. A mangiare! - dissero i compagni
e posarono i mattoni.
Michelaccio rosso in viso, con gli occhi lustri
e la fronte lucente, si lavò le mani alla
fontana. Prese la giacca e se la buttò sulle
spalle come un piccolo operaio. Arrivò a
casa che la minestra era quasi fredda:
- Quanto hai lavorato! - gli disse la mamma.
- Lavorato?
- Ti ho visto in piazza a scaricare i mattoni.
- Era lavoro quello? chiese sorpreso Michelaccio.
- Figlio mio, -rispose sorridendo, la mamma - se
non è lavoro quello, che cosa vuoi chiamar
con questo nome?.
- Ma io mi sono divertito, - ribatté Michelaccio.
- Lo credo. Il lavoro ricrea.
- Le ore sono passate senza che me ne avvedessi.
- Lo so bene; il lavoro distrae.
- Mi sento meglio degli altri giorni.
- E’ giusto. Il lavoro fa sani.
- Se questo è lavoro, - pensava Michelaccio,
- non è brutto come credevo.
Mangiava la minestra fredda con appetito e di quando
in quando si guardava le mani. Erano rosse e sotto
la pelle liscia si gonfiavano le vescichette dei
primi calli,